Mentre preparo un interessante articolo sulle prime impressioni “dal vivo” della stampante professionale 3ntr (che ho ricevuto Venerdì scorso e con la quale ho giocato per tutto il weeek end), pubblico un interessante video di bizzarri ingranaggi quadrati, ovali e con svariate forme organiche sviluppati da Clayton Boyer.
I progetti sono pensati per realizzazioni in legno con macchine CNC, ma possono essere sfruttati anche per stampe 3D. Per chi volesse cimentarsi nella costruzione di questi ingranaggi, il sito di riferimento è www.lisaboyier.com
Stampante 3D per ceramica Lithoz CeraFab 7500
Nell’area delle stampanti 3D per uso professionale, questo modello, sviluppato da Lithoz, una spin-off del politecnico di Vienna, si caratterizza per l’impiego di una tecnologia proprietaria di litografia ceramica (LCM), che consente una produzione veloce di pezzi singoli e piccole serie dei elevata complessità.
La stampante utilizza una resina fotopolimerica come legante, caricata con microparticelle ceramiche. Il modello ottenuto è un pre-sinterizzato, che viene successivamente cotto ad alta temperatura per eliminare il legante. Il risultato è un materiale che ha pressoché le stesse proprietà della ceramica ottenuta con una lavorazione tradizionale (densità sino a 99,4% TD).
Facile da utilizzare (si comporta come una stampante di rete) CeraFab 7500 produce oggetti con una straordinaria qualità di finitura, nei quali è quasi impossibile riconoscere la provenienza da una stampa 3D. Il grado di dettaglio è elevatissimo.
Il prezzo della stampante potrebbe aggirarsi intorno a 200.000€.
- Risoluzione laterale: 40 micron
- Velocità di costruzione: sino a 100 strati/ora
- Spessore strato: 25-100 micron
- Pixel: 1920 x 1280
- Volume di lavoro: 76 x 43 x 150 mm
- Formato dati: STL binario
- Sorgente di luce: LED
Stampa 3D: Doppio estrusore in metà spazio
Carl e Brian Douglass hanno proposto su KickStarter un interessante progetto per lo sviluppo di un nuovo estrusore per stampanti 3D.
Carl è un ingegnere meccanico con oltre dieci anni di esperienza nell’industria plastica. Brian si è occupato negli ultimi otto anni della progettazione di sistemi elettromeccanici per varie industrie. Insieme hanno deciso di brevettare un nuovo sistema, che consente di realizzare in metà spazio estrusori doppi e quadrupli.
Il meccanismo è ingegnoso. Tramite uno scappamento, lo stesso motore può alternativamente comandare l’estrusore di destra o di sinistra. Qualche dubbio, riguardo alla scarsa demoltiplica e al tempo di scambio tra un estrusore e l’altro a dire il vero permane; ma lo schema resta comunque interessante. La campagna fondi non è andata benissimo: sono stati raccolti circa 10000$ sui 25000$ richiesti. Ma i fratelli Douglass non si scoraggiano, e promettono di portare a termine il loro progetto comunque.
Stampa 3D: impiego e colorazione del Nylon
Il Nylon, una particolare famiglia delle poliammidi sintetiche, è un materiale straordinariamente versatile. Sintetizzato per la prima volta da Wallace Hume Carothers in un laboratorio della DuPont nel 1935 a partire dall’acido adipico e da esametilendiammina, il Nylon 6.6 fu brevettato nel 1937 e commercializzato nel 1938. Impiegato dapprima come fibra tessile, nel tempo è stato valorizzato anche per la realizzazione di filamenti ad alta resistenza (es. fili e reti da pesca), e per la costruzione di parti meccaniche (viterie, bulloni, etc.).
I filamenti in Nylon possono essere usati con successo, a patto di disporre di estrusori ad elevata temperatura, nella stampa 3D. Rispetto al tradizonale ABS, il Nylon presenta svariati vantaggi:
- Maggiore resistenza meccanica del modello finito
- Minore tendenza alla delaminazione
- Grazie alla proprietà auto-saldante del Nylon, una migliore finitura superficiale
- Non richiede letto riscaldato né sistemi di raffreddamento
- Minore deformazione
- Possibilità di realizzare altrettanto bene oggetti piccoli e grandi
- Possibilità di tingere il filamento
- Non sprigiona odori e fumi
I filamenti per la stampa 3D sono prodotti da Taluman (Nylon 6.18) e dalla Italiana 3ntr, ed acquistabili anche tramite ShareMind.
Riguardo alle differenze tra questi due materiali, sono sostanzialmente elencate nella seguente tabella:
Nylon: Taluman VS 3ntr
Caratteristica | Taluman 6.18 | 3ntr |
---|---|---|
Trasparenza | meno trasparente | più trasparente |
Rugosità | meno liscio | più liscio |
Temperatura suggerita | 235° | 265° |
Adesione sul piano di lavoro | Buona | Buona |
Superfici | Più pastose | Passate più nette |
Resistenza alla flessione | Minore | Molto maggiore |
Tendenza alla delaminazione | Bassissima | Bassissima |
Elasticità del modello finito | Piuttosto elastico | Piuttosto rigido |
Colorazione del Nylon
Il Nylon è un materiale igroscopico, che può essere colorato con relativa facilità, come dimostra la seguente immagine di bellissimi vasi, prodotti da Richard Horne.
Richard, che si definisce “un Ingegnere nel cuore, con una passione per costruire cose che funzionano nel mondo reale”, ha effettuato molti esperimenti per ottenere oggetti con sgargianti colori, stampati con la sua Delta RepRap (monoestrusore).
Richard era alla ricerca di un metodo semplice, che permettesse di tingere il Nylon. Non è facile reperire pigmenti compatibili con questa fibra. Molti pigmenti sono per uso industriale e non accessibili a privati ed hobbisti. La scelta è caduta su tinture in polvere Rit.
Il produttore suggerisce, nel caso si debba colorare Nylon, di aggiungere aceto. Molti coloranti specifici per il Nylon sono a base acida (es.acido citrico), ma Richard, dopo aver effettuato alcune prove insoddisfacenti, ha deciso di non utilizzare affatto acidi nel processo di colorazione. Anche alcune sostanze naturali, come la Cocciniglia, la Curcuma e il Tè sono in grado di tingere il Nylon.
Saltando completamente le istruzioni d’uso delle polveri Rit, Richard ha dissolto la tintura in acqua bollente, quindi usando delle buste in plastica da surgelati ha lasciato immersa nella tintura la parte di filamento da colorare per 30 minuti.
Ripetendo l’operazione, è possibile colorare la matassa più volte, per ottenere interessanti sfumature.
Utilizzando questi filamenti, Richard ha prodotto bellissimi lavori.
Per la lavorazione del Nylon si suggerisce di utilizzare un piano di lavoro in backelite. Per le stampanti professionali 3ntr è disponibile un piano di lavoro magnetico intercambiabile in una particolare versione di questo materiale, specifico per il Nylon.
Si ringrazia Richard Horne per le immagini ed i video relativi alla colorazione del Nylon presenti nell’articolo.
Quanto tempo ci mette una stampante 3D a realizzare un oggetto?
Ho trovato questa frase nelle chiavi di ricerca utilizzate per accedere al mio sito.
E’ una domanda quasi improponibile. E’ piuttosto ovvio che i fattori che determinano la durata di una stampa sono talmente tanti che non c’è alcuna risposta possibile. E’ un po’ come chiedersi “quanto ci vuole a leggere un libro”, o “quanto si impiega per fare un viaggio”. Ma la domanda in questione offre un valido spunto per affrontare un argomento abbastanza trascurato, e praticamente mai citato tra le specifiche tecniche delle varie centinaia di modelli di stampanti disponibili.
L’accelerazione
Quasi sempre, nell’elenco delle caratteristiche dichiarate dai costruttori troviamo due valori: la velocità di stampa massima e la velocità dei movimenti massima. Questi due valori corrispondono, in un sistema CNC, alla velocità di lavoro e alla velocità cosiddetta “in rapido”, utilizzata per gli spostamenti in aria, non produttivi.
Sia nel caso delle stampanti 3D che in quello dei sistemi CNC, mentre la velocità in rapido (quella usata per gli spostamenti a vuoto) è un valore che si può considerare “assoluto”, la velocità di lavoro (o di stampa) è relativa alla fluidità del materiale, alla quantità del materiale estruso (o nelle lavorazioni per asportazione alla durezza del materiale, alla profondità di passata e al diametro utensile, etc.). Insomma, si tratta di un valore relativo, che varia da lavorazione a lavorazione. Però certamente, si presume che una stampante 3D che presenta valori più elevati di velocità (di stampa e in rapido) impieghi meno tempo per completare un modello di una stampante che dichiara velocità più basse. Si presume, appunto.
Perché in realtà, molto dipende dalla accelerazione. Frequentemente nelle lavorazioni 3D i percorsi (le “passate”, se vogliamo chiamarle così) sono estremamente brevi, soprattutto nei riempimenti. E’ chiaro che dove si verifica un cambiamento repentino di direzione (ad esempio, il momento in cui un percorso “di andata” si inverte, diventando un percorso di “ritorno” nella direzione opposta), la velocità deve essere zero. Facendo un paragone con le automobili, una vettura con un’elevata velocità massima e una modesta accelerazione potrà dare il meglio di se su un’autostrada: ma nel traffico,o in un percorso pieno di curve, risulterà più efficiente una vettura con una maggiore accelerazione, anche se la velocità massima dovesse essere inferiore. Tanto, quella “velocità massima” non la raggiungerà mai. Nelle stampanti 3D (e anche nei sistemi CNC) accade esattamente la stessa cosa. Quindi non c’è da stupirsi se alcune stampanti Delta, anche se accreditate di una velocità inferiore rispetto ad una corrispondente stampante cartesiana, impieghino alla fine meno tempo per stampare: solitamente utilizzano estrusori Bowden, e la massa della testina in movimento risulta molto più leggera, consentendo maggiori accelerazioni. Nelle stampanti Delta inoltre anche per i normali movimenti lineari vengono impiegati tutti e tre i motori, rendendo disponibile una coppia più elevata.
Comunque, a conclusione di questa breve divagazione, la domanda giusta da porsi dovrebbe essere “quale grado di qualità posso ottener dalla mia stampante”, piuttosto che “quanto tempo impiega a stampare un oggetto”….
L'estrusore, il cuore di una stampante 3D a filamento
Se la meccanica, l’elettronica e la motorizzazione di una stampante 3D ne determinano le prestazioni e la precisione, il vero e proprio cuore di questi dispositivi, che influenza l’accuratezza e il dettaglio delle stampe, la robustezza del modello finito e la generale affidabilità della macchina è decisamente il sistema di estrusione.
Sebbene le stampanti che utilizzano una tecnologia basata sull’estrusione possano in realtà impiegare materiali sotto diverse forme (granuli, pellet, materiali plastici a temperatura ambiente, paste RTV, aste, filamenti), questo articolo si concentra sui sistemi FFF, che generalmente impiegano una bobina di filamento termoplastico dalla quale attinge l’estrusore.
Il suo assemblaggio avrà quindi quattro fondamentali componenti: un sistema meccanico di alimentazione, un elemento riscaldante (Hot End), un ugello di estrusione e – opzionalmente ma in generale adottato nelle macchine più recenti – un sistema di raffreddamento.
La meccanica del sistema di alimentazione
Per poter deporre il materiale necessario a completare i vari strati, l’estrusore ha bisogno di un sistema di alimentazione. Come accennato all’inizio dell’articolo, il sistema che si è rivelato più pratico e meno costoso da realizzare sfrutta bobine di filo che viene svolto e convogliato verso l’elemento riscaldante. Questo lo trasforma dallo stato solido allo stato plastico, raggiunto il quale può essere deposto attraverso l’ugello. Fondamentalmente, la meccanica si deve occupare di svolgere la quantità di filo necessaria ad una certa operazione, convogliarla nella zona in cui il filo verrà fuso, e creare la pressione necessaria affinché il materiale allo stato plastico venga estruso.
Sulla carta l’operazione è semplice: nella pratica lo è un po’ meno.
Credo che a tutti sia capitato di svitare il tappo di un tubetto di colla, e iniziare a schiacciare il tubetto senza che fuoriesca nulla… poi all’improvviso la colla inizia ad uscire, e pur interrompendo la pressione, continua ad uscire imperterrita fino a quando, sbavando dappertutto e incollandoci le dita, riusciamo in qualche modo a riavvitare frettolosamente il tappo…
Si, per una serie di complesse ragioni fisiche, l’estrusione ha un’inerzia. Inizia a depositare matriale dopo l’avviamento del processo, e continua a depositarlo dopo l’interruzione della pressione di estrusione. L’entità di questi ritardi dipende da molti fattori (materiale estruso, forma dell’ugello, attriti etc.), ma in una misura o nell’altra è sempre presente.
Nella stampa 3D il fenomeno del ritardo è indesiderato: Se non riuscissimo a bloccare prontamente l’erogazione di materiale, passando da una sagoma all’altra sullo stesso livello (layer), ci troveremmo ad avere filamenti di congiunzione da dover rimuovere con una fastidiosa finitura manuale. Questo introduce una complicazione per il sistema di alimentazione: non soltanto deve provvedere a far si che il materiale sia disponibile quando necessario, convogliando il filamento, ma anche ad interrompere nel più breve tempo possibile questa disponibilità di materiale (e la conseguente erogazione) durante gli spostamenti “non produttivi”.
Nelle macchine per prototipazione o produzione sottrattive (es. fresatrici CNC), i movimenti che non debbono produrre una lavorazione ma semplicemente spostare l’utensile in una diversa zona vengono effettuati “in aria”, generalmente a velocità superiore rispetto alla velocità di lavoro (in “rapido”). Più o meno la stessa cosa avviene per le stampanti 3D, ma anziché sollevare l’ugello dal livello dello strato corrente, ritraendolo, viene ritratto il filamento, in modo che l’ugello non venga alimentato durante la traslazione tra un oggetto e un altro.
Quindi in sostanza il meccanismo di alimentazione deve essere in grado sia di spingere il filamento verso la zona di fusione, sia di ritrarlo quando necessario con altrettanta prontezza. Questi movimenti che tendono a comprimere il filamento nella zona di fusione e a ritrarlo ove occorre sono generalmente garantiti da un pignone godronato azionato in modo diretto o indiretto da un motore passo-passo o servo, accoppiato con una puleggia, compressa da una molla per creare la sufficiente pressione contro il filamento affinché non scivoli.
Nell’immagine, la meccanica piuttosto rudimentale di un estrusore a trazione diretta ShareBot. Il pignone godronato è montato direttamente sull’asse del motore passo-passo (nascosto da una rondella), mentre dal lato opposto del filo una puleggia, spinta contro il filo tramite una molla regolabile genera la pressione sufficiente affinché la godronatura possa trascinare il filo senza slittamenti.
I sistemi a trazione diretta presentano qualche vantaggio costruttivo (sono più semplici e leggeri), ma sono in grado di erogare una coppia limitata, e di conseguenza possono spingere il filo nella camera di fusione con una pressione modesta. Poca pressione = scarsa quantità di materiale fuso disponibile, cosa che costringe a velocità di stampa contenute. La limitazione maggiore di questo approccio è comunque relativa al fatto che, erogando piccole quantità (es. layer di minimo spessore), il motore è costretto a girare troppo lentamente e – trattandosi in generale di motori stepper – l’erogazione finisce per avvenire “a scatti”.
L’immagine superiore mostra lo schema di questo semplice estrusore.
La deformazione del filo rappresentata nello schema è esagerata, ma fornisce un’idea di come – qualora pignone e cuscinetto siano disassati – la pressione della molla, spingendo il cuscinetto sino a far aderire il filo nel suo tratto libero al pignone godronato – possa determinare anche diversi punti di attrito tra il filo e i suoi passaggi obbligati, dando luogo ad un rapido consumo di questi ultimi, soprattutto se riferiti a parti stampate in 3D.
Ovviamente, gli estrusori in metallo come quello nel video offrono maggiori garanzie di affidabilità, resistenza , precisione.
Nei modelli di estrusore a trazione indiretta vengono usati dei sistemi di ingranaggi o dei riduttori per aumentare il rapporto tra giri del motore e lunghezza del filamento estruso. Questo approccio permette una maggiore precisione nella deposizione di minime quantità di materiale a vantaggio della qualità di finitura, anche utilizzando filamenti più spessi (es. 3 mm anziché 1,75 mm), ma comporta una meccanica più pesante e con maggiore inerzia negli spostamenti. Nei modelli che utilizzano ingranaggi stampati in 3D a denti piani, è possibile osservare un certo giogo (backlash) tra le parti. Il giogo determina sia un ritardo nell’azione di svolgimento o ritrazione del filamento, sia una imprecisione della quantità di materiale estruso nei cambiamenti di senso, che si riflettono negativamente sulla precisione e qualità di finitura. Il giogo può essere ridotto o annullato usando ingranaggi elicoidali.
Quale che sia il metodo di trazione (diretto o indiretto), la meccanica dell’estrusore deve garantire:
- il massimo afflusso possibile di materiale alla camera di fusione (consente maggiori velocità di stampa). Si ottiene utilizzando filamenti di diametro più grande (es. 3 mm anziché 1,75 mm), ed aumentando la coppia del pignone di trazione.
- una struttura più leggera possibile (riduce le masse in movimento e la loro inerzia), consentendo alla stampante di raggiungere maggiori velocità di spostamento e generare minori vibrazioni.
- la minima quantità di giogo nei cambiamenti di direzione del filo. Il giogo influisce pesantemente sulla qualità di finitura, e si riduce utilizzando meccaniche di qualità, generalmente in metallo.
- una corretta gestione delle temperature. La zona di fusione del filo deve essere più breve possibile, per evitare intasamenti dell’ugello o peggio la fusione del filo in prossimità del pignone di trascinamento.
Oltre a tutti questi aspetti, una parte considerevole delle responsabilità delle imprecisioni di stampa caratteristiche dei sistemi FFF è dovuta ad altri fattori.
Ad esempio, la produzione di vapori nell’area di fusione, variazioni di diametro del filamento, variazioni di temperatura dell’hot-end legate a correnti d’aria e fattori estranei, etc.
Raffreddamento
La necessità di provvedere ad un adeguato raffreddamento deriva da due esigenze. La prima, lo abbiamo detto, è fare in modo che il filamento venga fuso esclusivamente presso la sua estremità, per una lunghezza più breve possibile. Qualora il calore si propagasse eccessivamente verso la zona nella quale avviene il trascinamento, questo necessariamente verrebbe negativamente influenzato.
Nei casi più estremi, il pignone finirebbe per girare a vuoto, venendo a mancare la necessaria rigidità del filo. Questo primo problema viene risolto con particolari alettature nella zona immediatamente superiore a quella di fusione, utilizzando in quell’area materiali scarsamente conduttori di calore, o con un raffreddamento attivo (generalmente ad aria convogliata, più raramente a liquido) nella zona.
Il secondo potenziale problema è la deposizione di materiale a temperatura di fusione su strati precedenti non totalmente solidificati. Questo avviene quando la zona di deposizione è particolarmente piccola, e la stampa insiste su quella zona, senza darle il tempo di raffreddarsi. Ad esempio, estrudendo un cilindro di pochi millimetri di diametro (e soltanto quello), probabilmente in una macchina priva di adeguato raffreddamento lo vedremmo rapidamente collassare su se stesso, o addirittura in taluni casi diventare talmente morbido da seguire il movimento della stampante, fino a produrre una sorta di cavatappi deformato. Questo problema viene risolto convogliando nella zona aria fredda, attraverso una ventola controllata dal software, che va in funzione ove necessario.
Sfortunatamente, la maggior parte delle ventole in commercio (mutuate da quelle utilizzate per raffreddare processori, schede grafiche e parti di computer) tendono a produrre un flusso di aria poco concentrato. Utilizzando questo tipo di ventole è difficile ottenere un raffreddamento mirato in una zona ben definita (che è quello che servirebbe): ma per i più esigenti è possibile ricorrere a ventole speciali (come quella mostrata nel video), o creare delle canalizzazioni ad hoc per estrarre calore o convogliare aria fredda.
Estrusori Bowden
In alcune stampanti, viene sfruttato il principio “Bowden”. E’ un approccio che tutti conosciamo bene: è quello utilizzato dai cavi freni di biciclette e piccoli ciclomotori.
Il cavo scorre all’interno di un tubo flessibile ma non comprimibile, quindi la forza (nel caso dei freni) di trazione applicata ad un’estremità viene trasferita “tale e quale” all’estremità opposta, al termine della guaina.
Nel caso degli estrusori, il cavo Bowden permette di ridurre la massa in movimento dell’estrusore, consentendo un movimento più controllato e veloce, meno vibrazioni, meno consumo di energia e maggiore velocità di stampa. Normalmente, il meccanismo che spinge il filamento verso la zona di fusione è collocato direttamente sopra l’hot-end. Questo crea problemi di equilibrio ed oscillazioni nei movimenti molto veloci, che determinano imprecisioni nella stampa, rumorosità e tremolii. Al contrario, nel caso Bowden il meccanismo di alimentazione è collocato su una parte non mobile della stampante, e il filamento viene trasportato da un tubo in PFTE(Teflon) verso l’hot-end. Il Teflon, un materiale antiattrito, riduce l’usura e la perdita di energia. Gli estrusori Bowden sono usati prevalentemente nelle stampanti con architettura Delta, per ridurre le masse sospese.
Vantaggi
Il cavo Bowden consente di raggiungere maggiori velocità di spostamento in rapido, di ridurre le masse in movimento con meno consumo di energia, e di utilizzare telai meno rigidi, costruendo stampanti più leggere e meno costose.
Svantaggi
Il sistema Bowden ha un grave inconveniente: l’isteresi. La forza di compressione applicata all’estremità di alimentazione si distribuisce lungo tutta la lunghezza del cavo. Sia la guaina in Teflon, sia il filamento sono relativamente flessibili, creando un problema di “elasticità” dell’insieme. In teoria questo problema potrebbe essere risolto collocando un encoder presso l’hot-end, ma questo farebbe aumentare il costo e la complessità sia dell’elettronica, sia del software di controllo.
Estrusori a vite
Per ottenere una maggiore coppia ed una migliore precisione soprattutto con l’utilizzo di filamenti da 3mm, vengono utilizzati anche estrusori che sfruttano, anziché un pignone godronato, l’azione di una vite. Nell’immagine sottostante, in questo estrusore con il corpo trasparente si può intuire lo schema utilizzato.
La vite consente di ottenere “naturalmente” un rapporto più demoltiplicato tra giri del motore e avanzamento del filamento. Quando la quantità di materiale da estrudere è minima (es, l’ugello è di piccolo diametro e il filamento è spesso), gli estrusori a pignone a trazione diretta si rivelano inefficaci: il motore dovrebbe girare troppo lentamente. In queste condizioni, il materiale viene depositato “a impulsi” (in base ai passi del motore), determinando irregolarità nella finitura.
L’estrusore a vite rappresenta quindi una valida soluzione per stampe ad alta risoluzione, nelle quali il layer è particolarmente sottile (es., 0,05mm). In condizioni normali, non si notano particolari vantaggi nell’utilizzo della vite.
Hot End
Ed eccoci al “Punto caldo”. L’estremità dell’estrusore, quella nella quale avviene la trasformazione del filamento dallo stato solido a quello plastico, e l’estrusione vera e propria – attraverso un ugello calibrato. Come si può ben intuire, insieme a tutta la precedente componentistica meccanica, questo elemento gioca un ruolo di grande importanza sulla qualità del modello.
Iniziamo dall’ugello, il componente che determina lo spessore dell’estrusione. Comprensibilmente, più piccolo è, inferiore sarà l’altezza dello strato minimo depositabile (layer), a vantaggio della qualità di finitura. La dimensione standard attuale è di 0,35 mm, mentre nelle prime stampanti venivano usati tipicamente ugelli da 0,5mm. La riduzione del diametro dell’ugello per ottenere parti più dettagliate e meglio rifinite tuttavia comporta (oltre certi limiti) delle controindicazioni. Il tempo di stampa aumenta considerevolmente (dimezzando il layer raddoppia) e le probabilità di intasamento aumentano vertiginosamente scendendo sotto il diametro di 0,25 mm.
La temperatura
Per stampare con materiali che richiedono elevate temperature di fusione, sono necessari hot-end capaci di sostenerle, es. Prusa e Arcol. Questi hot end non utilizzano isolatori PEEK, e possono raggiungere con facilità temperature superiori a 250° Celsius. Questo apre all’utilizzo di materiali come PP3DP/UP,policarbonato, nylon,PDTE e PEEK. La disponibilità di questi hot-end è tuttavia limitata.
Gli hot end Budaschnozzle sono solidi e costruiti particolarmente bene, ma essendo basati sugli hot end Arcol di generazione precedente, reintroducono l’isolamento in PEEK, e sono quindi soggetti alle stesse limitazioni di temperatura degli hot end JHead e Makegear.
Tra questi ultimi due, il JHead è più facile da assemblare e da riparare in caso di guasto.
Un “caso particolare” è rappresentato dall’hot-end prodotto in Italia da Immagina e Crea, Pur utilizzando una barriera in PEEK, è dotato di estrattore di calore e, con una semplice ventola da 25mm, consente di lavorare a 290° in continuo senza problemi. Questo hot-end è pronto per essere utilizzato con gli estrusori Greg/Wade, può essere impiegato senza ventola di raffreddamento per l’ABS sino a 245/265° e viene fornito anche con un adattatore/dissipatore per gli estrusori a vite prodotti dall’azienda.
Un ultimo commento sulla temperatura. La collocazione del sensore può influenzare la temperatura percepita necessaria per l’estrusione. Il filamento fornito dalla UP! richiede l’impostazione di una temperatura di 270° quando viene impiegato con una stampante UP!, ma può essere estruso a 210-215° con buoni risultati su una M2 o o Mosaic. La ragione di questa discrepanza è legata all’uso di diversi tipi di hot-end, e alla differente collocazione del sensore di temperatura.
Ulteriori informazioni sui vari modelli di estrusori commerciali e sui progetti per la realizzazione di estrusori “fai da te” sono disponibili nell’articolo “Estrusore/Hot-End:tutti i modelli e le soluzioni”.
Ferri in titanio stampati in 3D per cavalli da corsa
La mascalcia è una di quelle antiche professioni, o forse dovrebbe essere definita un’arte, rimasta nel tempo più fedele alla tradizione.
Ancora oggi, i ferri vengono scaldati al calor rosso e letteralmente “plasmati”, per adattarsi alla forma dello zoccolo, a forza di martellate sull’incudine. “Un bravo fabbro adatta i ferri al piede, non il piede ai ferri“, si dice.
Ma certo non è facile, neppure per un occhio esperto, valutare perfettamente la forma dello zoccolo e riprodurla martellando il ferro. Ancora più difficile è adattare la planeità, così nella largamente diffusa “ferratura a caldo”, una volta forgiato il ferro ancora rovente viene portato a contatto dell’unghia. La brucia per un certo spessore, – adattando lo zoccolo alla forma forgiata.
I ricercatori del Commonwealt Scientific and Industrial Research (CSIRO), l’agenzia scientifica Australiana, hanno sviluppato un metodo totalmente digitale per produrre ferri da cavallo su misura in titanio.
La forma dello zoccolo viene acquisita con uno scanner 3D hand-held, e una stampante 3D industriale produce i relativi “ferri”, perfettamente aderenti.
L’uso del titanio riduce sensibilmente il già modesto peso dei ferri in alluminio usati per le competizioni, portandolo a meno di 100 gr. (contro un peso di 7/800 grammi di un ferro tradizionale). La riduzione di peso sugli arti, anche se minima, comporta un rilevante aumento delle prestazioni del cavallo, consentendogli di correre più veloce. E poi, bisogna riconoscerlo… questi ferri sono veramente eleganti… anche i cavalli apprezzano la moda!
Soluzioni digitali per ortopedia ed ortesi
La vita sedentaria, cibi meno sani, minori occasioni per i ragazzi che vivono in città di correre e camminare su terreni sconnessi (un importante esercizio per il corretto sviluppo di tendini, muscoli e ossa) determinano una sempre maggiore incidenza di problematiche che richiedono l’intervento dell’ortopedico, e spesso l’uso di apparecchi ortesici (corsetti, busti, tutori) per pazienti di tutte le età.
La rivoluzione digitale
Tradizionalmente, la produzione di apparecchi ortesici e protesici è sempre stata fatta fondamentalmente a mano. L’esigenza peculiare di dover adeguare ortesi e protesi alla fisionomia del paziente e contemporaneamente all’intento terapeutico, al recupero di funzionalità motorie o estetiche hanno fatto evolvere nei secoli generazioni di abili artigiani, capaci di confezionare “ad arte” prodotti strettamente su misura. L’antica letteratura riferisce di interventi protesici diffusi al tempo dei Greci e dei Romani.
Ma oggi ci sono tecnologie più avanzate, nuovi materiali, e vincoli sempre più stringenti nella manipolazione e nello smaltimento.Il futuro della produzione nell’ortopedia ortesica e protesica è ormai legato alla tecnologia digitale.Che permette una maggiore produttività, tempi di realizzazione più brevi, migliori risultati. E soprattutto la possibilità, anche per operatori non dotati di quella manualità ed esperienza nelle tecniche costruttive che hanno contraddistinto le generazioni passate di artigiani di officine ortopediche, di realizzare efficaci soluzioni ortopediche.
Il processo digitale
Il percorso tipico per giungere alla realizzazione di una ortesi o di una protesi è costituito essenzialmente da quattro fasi:
- L’acquisizione di dati morfologici e dimensionali del paziente.
- L’individuazione di una strategia clinica di un intervento riabilitativo o protesico.
- La progettazione di un apparecchio conforme all’obiettivo clinico.
- La realizzazione fisica dell’apparecchio progettato.
In tutte queste fasi, i benefici di un approccio digitale sono enormi. Per una comparazione “faccia a faccia” tra le tecniche tradizionali e quelle offerte dalla tecnologia digitale, leggi l’articolo “Il vecchio contro il nuovo”.
Acquisizione dei dati
La complessità delle forme del corpo umano ha sempre reso problematica l’acquisizione di dati dimensionali e morfologici “esatti”. Sia per l’imprecisione intrinseca degli strumenti analogici utilizzati; sia per i disagi causati al paziente dalle varie operazioni di acquisizione: basti pensare al fastidio di sottoporsi ad un calco, magari su una parte lesa da un’ustione, dolorante per un processo osseo degenerativo, o in guarigione dopo una recente, grave ferita.Oggi queste pratiche per fortuna non sono più necessarie. I moderni scanner Artec 3D a luce strutturata possono rilevare, senza contatto e senza alcun pericolo, la morfologia dell’intero corpo umano in pochi minuti, restituendo un modello 3D con la risoluzione di 0,2 mm. Questa operazione può essere eseguita ovunque: non è necessario che il paziente si rechi presso uno studio.Il modello acquisito può essere ispezionato e analizzato da qualsiasi punto di vista. E soprattutto, trattandosi di dati digitali, può essere inviato in pochi minuti in qualsiasi parte del mondo, ad esempio, per ottenere un parere clinico da un particolare specialista.
Definizione della strategia clinica
Con il modello 3D sullo schermo del computer, ed attraverso i potenti strumenti resi disponibili da un programma di modellazione specificatamente progettato da ShareMind per questo impiego, è possibile eseguire direttamente sul modello quegli interventi correttivi necessari ad apportare benefici terapeutici al paziente, o a migliorare le sue condizioni di vita. Lo specialista dispone in effetti del modello virtuale della parte del corpo sulla quale è chiamato ad intervenire, integrato da ulteriori dati resi disponibili attraverso altri esami (es, radiografie). Può studiare l’area di intervento, sperimentando virtualmente i risultati dell’applicazione di forze in punti specifici, di torsioni, trazioni, compressioni etc. Nel caso della realizzazione di busti ortopedici, l’operatore può agire direttamente su una “spina dorsale virtuale”, facendola prima collimare con reperti radiografici, e successivamente, modificando la “spina virtuale” per portarla nella posizione corretta, può ottenere la postura desiderata, che viene automaticamente applicata al busto da realizzare per quel paziente.Questi interventi permettono di “plasmare” una soluzione ideale per ciascun particolare caso clinico.
Progettazione dell’apparecchio ortopedico
Nel caso di un intervento ortesico ad esempio il modello, manipolato in modo digitale con avanzati strumenti di sculpting, viene direttamente “corretto”, fino a fargli assumere la forma ideale che quella parte del corpo dovrebbe assumere per merito dell’apparecchio ortesico. Ovvero: viene in un certo senso progettato “un nuovo corpo”; attraverso la definizione di una postura che, a seconda delle circostanze, può essere terapeutica, analgesica, riabilitativa etc
E’ su questo nuovo modello, appunto “ideale” rispetto agli obiettivi clinici, che viene realizzato l’apparecchio ortesico. Ma il modello è ancora virtuale. E’ ancora confinato dentro allo schermo di un computer. Deve essere trasformato in un modello fisico in scala 1:1, per poter essere “vestito” dall’apparecchio ortesico (tramite termoformatura) che dovrà apportare i benefici previsti al paziente.
Ma come?
Realizzazione del modello fisico
Il modello virtuale acquisito con la scansione e successivamente manipolato per rispondere agli obiettivi clinici, viene trasformato in un modello fisico utilizzando un robot a controllo numerico, che lo realizza a partire da un blocco di schiuma poliuretanica. A seconda delle esigenze e dell’area di intervento, sono disponibili modelli di robot di varie dimensioni, potenzialità, accuratezza e costi, in grado di gestire da 3 a 7 assi simultanei. In particolare, i nuovi sistemi ShareMill Tower 3+5® permettono, con una sola, abbordabile macchina, di realizzare tutti i modelli fisici dei quali una officina ortopedia ha generalmente bisogno: plantari, forme di calzature, tutori, busti e corsetti, protesi, sedute ed invasi.
Una volta completato il processo di creazione del modello fisico, è possibile costruire su quest’ultimo l’apparecchio ortesico definitivo, avvalendosi dei più moderni materiali oggi disponibili.
L’intero processo, sviluppato all’interno di una sinergia di competenze cliniche, tecnologiche e software che vede coinvolti importanti attori che hanno voluto far confluire le loro esperienze in una reale e collaudata soluzione, prende in considerazione tutte le implicazioni normative, incluse le problematiche legali, ecologiche, recupero materiali e smaltimento rifiuti. I sistemi vengono forniti con tutti gli strumenti necessari a renderli operativi, inclusi corsi di formazione, supporto tecnico post-vendita e consulenza specialistica.
Le applicazioni delle tecnologie digitali in campo medicale trovano impiego in:
- Ortopedia ortesica, busti e corsetti ortopedici
- Realizzazione di copie digitali di dispositivi ortesici ai fini dell’archiviazione
- Protesi funzionali e plastiche
- Podologia e calzature ortopediche
- Chirurgia plastica
- Chirurgia maxillo-facciale
- Terapia postraumatica di ustioni
- Medicina legale e assicurativa
- Sviluppo di prodotti ad hoc per disabili
Fresatrici CNC ShareMill Tower 3+4® e 3+5®
In diverse occasioni, si rende necessario eseguire normali lavorazioni a tre assi anche su macchine dotate di quarto e quinto asse rotativo/rotobasculante.
La meccanica degli assi rotativi ha però un certo ingombro, che riduce le corse XYZ della macchina. Normalmente ci sono due alternative possibili per chi debba eseguire una lavorazione a tre assi su una macchina dotata di quarto (o quarto e quinto) asse.
La prima è semplicemente quella di bloccare l’asse rotativo o il gruppo rotobasculante ed eseguire la lavorazione necessaria, fissando la parte sul quarto o sul quinto asse. Questa scelta presenta dei problemi, non soltanto perché le corse della macchina sono ridotte dalla presenza della meccanica, ma perché generalmente i sistemi di staffaggio sono pensati per fissare solidi di rotazione.
Sul quarto asse spesso troviamo una barra passante, o un mandrino autocentrante e una contropunta; sul quinto, più spesso un mandrino autocentrante.
In queste condizioni, fissare ad esempio un grezzo a forma di parallelepipedo è un’impresa ardua. La seconda alternativa è più radicale: si smonta il gruppo quarto/quinto asse, in modo da poter sfruttare l’intero piano di lavoro e tutta la corsa Z della macchina. Spesso il piano è scanalato, così non ci sono problemi per fissare parallelepipedi. Ma anche questo metodo ha un suo rovescio della medaglia: per quanto il sistema di assi rotanti possa venire rimontato con una certa precisione, magari con l’aiuto di spine, la macchina va generalmente ricalibrata. Inoltre, smontare e rimontare le connessioni dati ed elettriche a lungo andare può determinare problemi ai connettori.
Per risolvere l’esigenza di lavorazioni a tre assi in modo pratico ed efficiente, abbiamo sviluppato una linea di sistemi tower che sfrutta un piano mobile, che va a coprire quando necessario il gruppo quarto/quinto asse. I vantaggi sono molti:
- non è necessario smontare gli assi rotanti o rotobasculanti per eseguire lavorazioni a tre assi. La macchina rimane sempre perfettamente calibrata.
- Nelle lavorazioni sul piano, le intere corse XY risultano pienamente disponibili. La riduzione della corsa Z (nelle lavorazioni a tre assi) è contenuta: c.a. 15 mm.
- L’architettura tower consente di collocare i componenti in modo ottimale, e di ottenere un ampio vano per il contenimento e l’aspirazione dei trucioli, senza aumentare la pianta a terra della macchina. La struttura a ponte con piano fisso permette di collocare notevoli pesi sul piano.
- Grazie a questi accorgimenti, i centri ShareMill Tower 3+4® e 3+5® presentano, in un singolo sistema, tutti i vantaggi intrinseci di una macchina a 3, 4 e 5 assi nativa.
Il progetto delle macchine è totalmente modulare. Questo permette, oltre a poter realizzare modelli con diverse corse utili, di impiegare diversi tipi di telaio a seconda della tipologia di materiali da lavorare:
- in profilato di alluminio strutturale ad alto spessore – per lavorazioni di materiali leggeri (resine, materie plastiche, metalli non ferrosi)
- in alluminio massiccio – per la lavorazione di materiali di media durezza (leghe metalliche non ferrose)
- in granito – per la lavorazione di materiali particolarmente duri (titanio, acciaio inox, cromo-cobalto etc.)
Sempre all’insegna della flessibilità e versatilità di impiego, le ShareMill Tower possono essere dotate di svariate opzioni:
- elettromandrini con raffreddamento ad aria o a liquido, da 0,75 a 5,5 Kw, con regimi sino a 80.000 giri/min
- sistemi di cambio utensile automatico sino a 24 posizioni
- alimentatori automatici dei pezzi
- estrattore trucioli automatico
- impianti di microlubrificazione, raffreddamento con tubo Venturi, lubrorefrigerazione a circuito chiuso
- elettronica, viti e guide blindate per lavorazioni con polveri aggressive (es. grafite)
- estrusori per lavorazioni additive FFF (stampa 3D) e piano riscaldato
- telecamera WiFi per i controllo della lavorazione
- testa laser per la scansione 3D
- linee ottiche
La costruzione dei centri ShareMill Tower è sempre e comunque estremamente curata e sovradimensionata rispetto agli impieghi ai quali sono destinate.
La sicurezza è totale. Le macchine sono sempre totalmente chiuse con cabinet integrale, provvisto di doppio sportello scorrevole controllato da bloccaggio elettronico.
La motorizzazione, anche nel caso di motori stepper è sempre a circuito chiuso con encoder. Il CN è di tipo industriale, a 6 o 8 assi in continuo.
Le viti a ricircolo, con accoppiamento a gioco zero, sono da 25 mm o oltre, le guide lineari a ricircolo sono da 30 mm o oltre. I soffietti di protezione delle guide e delle viti sono stagni. Sono sempre presenti l’illuminazione interna, silent block regolabili per il posizionamento in piano, la predisposizione per l’aspirazione trucioli.
Stratasys cita Afinia per violazione di brevetti
L’esito della causa potrebbe cambiare radicalmente lo scenario delle stampanti 3D.
Alla fine del 2013 Stratasys, un leader storico nel mercato della stampa 3D, ha depositato una azione legale nei confronti di Afinia, produttore di stampanti per uso personale FFF di piccole dimensioni, per violazione dei suoi brevetti. Le denunce presentate da Stratasys sono relative a tecnologie e componenti che non interessano in realtà la sola produzione Afinia, ma riguardando anche modelli Open Source e i prodotti (Cubify e CubeX) della sua concorrente diretta, 3D Systems.
I motivi alla base dell’azione di Stratasys sono legati ad un paio di ragioni. La prima è relativa alla concorrenza.
Secondo Tyler Benster, co-fondatore di Azav ed evangelista della stampa 3D, la core technology Stratasys – Fused Deposition Modeling o FDM – è minacciata da un diluvio di stampanti 3D a basso costo disponibili sul mercato.
Afinia è stata portata alla ribalta dai rilevanti successi di vendita nel settore delle stampanti 3D consumer, I prodotti Afinia sono economici e offrono significativamente più funzionalità rispetto alle stampanti comparabili da Stratasys, e stanno guadagnando popolarità. Ancora più importante, si diffondono rapidamente tra importanti segmenti di clientela, come le istituzioni educative.
La seconda ragione che motiva l’azione Stratasys è la prospettiva di un’invasione di concorrenti low cost cinesi che possa inondare il mercato statunitense attraverso partnership di licenza con aziende americane. Stratasys ha individuato la stampante H-Series Afinia nella sua denuncia contro la società. Afinia ha in concessione la licenza hardware per questa stampante da Delta Micro Fabbrica Corporation, che è il produttore di apparecchiature originali o OEM per la gamma di stampanti 3D UP!.
Delta Micro fabbrica Corporation è di proprietà di Tiertime, un produttore di stampanti Cinesi che produce modelli a basso costo. Queste stampanti, che si ispirano a tecnologie brevettate affermati players, competono con le stampanti Stratasys su più segmenti di mercato e categorie, compresi i segmenti di consumer e industria. Secondo Benster, le imprese cinesi ricercano spesso partnership con aziende statunitensi per muoversi meglio all’interno della intricata regolamentazione dei brevetti statunitense.
Come esempio, Benster cita il Tiertime Inspire A370 che utilizza due ugelli per ABS e materiale di supporto e ha un volume di lavoro che è maggiore di quello della Dimension, una stampante 3D Stratasys. “Le macchine sono rapidamente migliorate nella qualità e Stratasys vuole impedire la loro introduzione sul mercato,” dice. Tuttavia, Tiertime, che non opra negli Stati Uniti, non è stato citata in giudizio. Invece, la sua partner statunitense – Afinia – è sotto tiro. “Questa è una distinzione importante”, dice Benster.
Nella sua tattica per gestire il contenzioso, Stratasys segue la stessa strategia utilizzata da 3D Systems agli albori della stampa 3D, quando ha impedito lo sviluppo di una reale concorrenza. Ma oggi lo scenario della stampa 3D è profondamente cambiato. In primo luogo, l’evoluzione del mercato ha consentito di accogliere startup e new entry. Inoltre, tutto il movimento Open Source agisce come ago della bilancia nel conflitto tra Stratasys e Afinia.
Secondo Benster, Stratasys punta ad una netta vittoria legale che ha come obbiettivo fermare la distribuzione di Afinia o ottenere il riconoscimento di royalities sui prodotti venduti. In entrambi i casi questo assumerebbe un significato simbolico e costituirebbe un precedente per Stratasys, per affrontare altre cause verso aziende che violano i loro brevetti. Benster ritiene che i prezzi delle stampanti 3D desktop subiranno modesti aumenti nel breve periodo. Tuttavia, la grande quantità di modelli (7-800 tra amatoriali e professionali), e l’innovazione spinta dal movimento Open Source potrebbero nel lungo periodo portare ad un ribaltamento di questa tendenza. Se la causa Stratasys contro Afinia dovesse portare alla definizione di royalities, questo causerebbe un aumento dei costi al dettaglio per le stampanti 3D, per coprire i maggiori costi di produzione. Potrebbe anche spingere piccole startup a cedere (come è avvenuto per MakerBot) la propria azienda ai grandi player di settore.