Chi mi conosce da tanto tempo sa che sono un imprenditore seriale, e che amo la libera professione. Amavo anche i tempi in cui il nostro paese era pervaso da entusiasmo e voglia di fare, prima che la borsa divenisse un gioco di bolle di sapone con il quale appropriarsi dei risparmi altrui, e che la produzione industriale divenisse una faccenda di outsourcing. Credo ancora che potremmo tornare a quei giorni, e che tutto sommato le opportunità per i giovani siano migliori oggi che nei vecchi tempi di gloria dell’economia. Prendiamo ad esempio il marketing. Oggi una piccola impresa può raggiungere un incredibile numero di potenziali clienti attraverso internet.
Per questo, mi piace condividere idee, ispirazioni ed altro materiale che può essere utile ad altri piccoli imprenditori, o persone che stanno per intraprendere la libera professione. Oggi è la volta di un libro, “Turning Pro“, e di un blog che veicola il “Manifesto del Portapranzo“. Entrambi sono riferiti essenzialmente al fatto che diventare un professionista è più legato ad un cambiamento di stato mentale che non alle proprie conoscenze. E’ qualcosa che riguarda l’approccio al lavoro. Entrambi gli argomenti meritano uno sguardo più profondo, ma tanto per iniziare, ecco il Manifesto del Portapranzo.
Il Manifesto del Portapranzo
Dobbiamo scegliere un lavoro che dia un significato alla nostra vita
Dobbiamo impegnarci a rendere il nostro lavoro propositivo, sincero ed autentico. Una pura offerta alla nostra musa.
Dobbiamo ingaggiare una guerra permanente, saper resistere, ed accettare il fatto che la gratificazione immediata è un ossimoro.
Non dobbiamo parlare del nostro lavoro con falsa modestia o millanteria.
Non dobbiamo svilire il nostro lavoro per guadagni a breve termine, e non elevarlo oltre quanto legittimo per soddisfare il nostro ego.
Non dobbiamo desiderare i frutti del nostro lavoro, o i frutti del lavoro altrui.
Dobbiamo rispettare il lavoro degli altri e offrire aiuto agli altri professionisti.
Dobbiamo accettare il fatto che il nostro lavoro non sarà mai perfetto.
Dobbiamo accettare che il nostro lavoro non sarà mai senza merito.
Dobbiamo accettare che il nostro lavoro non cesserà mai.
Il riferimento al portapranzo è legato al duro lavoro dei metalmeccanici, e al conforto che una minestra calda e una fetta di frittata potevano portare dopo le più grandi fatiche. Lo ricordo bene il portapranzo. L’ho visto riempire per una vita da mia madre, che dedicava le ultime ore della sua faticosa giornata per prepararlo a mio padre.
I migliori avanzi della cena erano destinati al papà. Il suo portapranzo e il casco, pronti sul tavolo della cucina per lui che partiva all’alba, erano sacri per noi bambini. E proprio come il portapranzo offriva sollievo a questi professionisti costretti spesso a lavorare in pericolo di vita, abbiamo bisogno di preparare il nostro pranzo simbolico prima di affrontare le difficoltà del nostro lavoro. Facendolo, potremo superare quei momenti in cui ci sembrerà di aver versato tutte le gocce di sudore possibili. Quei momenti in cui ci sembrerà di non farcela più.
Credo che questo sia il miglior manifesto per chi si accinge ad avvicinarsi alla libera professione, e certamente questi dieci punti riflettono molti dei valori ai quali la mia attività ha sempre fatto riferimento. Essere un professionista è un duro lavoro.
E’ un bel lavoro, ed è il lavoro che amo fare. Ma non è mai facile. Credo che se riuscirò ad insegnare ai miei figli di ispirare la propria vita lavorativa a qualcosa di simile al Manifesto del Portapranzo, non dovrò preoccuparmi troppo per il loro futuro.
Dopo alcuni mesi di gestazione, finalmente è disponibile la versione commerciale della stampante 3D MakerBox. Destinata al nascente mercato DIY ed hobbystico, la macchina trova applicazioni anche in campo professionale, grazie ad elevate prestazioni in termini di velocità ed accuratezza. Ispirata agli opensource RepRap e MakerBot, MakerBox è comunque basata su un progetto originale. Pilotata da un’unica scheda elettronica sviluppata in collaborazione con FabLab, la macchina sfrutta cuscinetti a ricircolo di sfere, ed assicura un assemblaggio semplice e veloce, grazie ai pannelli pretagliati via laser. Fornita con due ugelli 0,48 e 0,23 mm, MakerBox impiega un innovativo estrusore diretto, alimentato con filo in ABS o PLA da 1,75mm. La macchina è disponibile sia in versione kit, sia preassemblata e collaudata.
Specifiche tecniche
• Area di stampa: 200x 200 x200 millimetri o 7.87 x 7.87 x 7.87 pollici
• Volume di stampa: circa 8 litri
• Spessore dello strato: suggerito 0,35mm con l’ugello da 0,48mm (0,15mm con ugello da 0,24mm)
• Diametro dell’ugello: 0,48 mm (0,24 mm)
• Velocità stampa max: 60 mm/s
Elettronica
• MakerBox scheda madre: Sanguinololu 4 driver
• Design compatto, 100x50mm (4″ x 2″)
• Clone Sanguino, Atmel’s ATmega644P
• Fino a 4 Pololu (o Pololu compatibili) a bordo della scheda (X,Y,Z,Ext) (A4983 senza regolatore di voltaggio)
• Alimentazione dei motori regolabile tramite potenziometro 7-35V
• Connessione per 2 termistori
• 2 connettori N-Mosfet per estrusore/piano di stampa
• 3 connettori per fine corsa X Y Z
• 13 extra pin disponibili per espansioni (6 analogici; 8 digitali)
• 4 driver per il controllo dei motori 1/16 micro-stepping
• 5 motori stepper Nema 17
• 3 microswitch
• Piano di stampa riscaldato
• Alimentazione universale
Software
• Controllo tramite PrintRun slic3r (software open-source)
• Compatibilità: Linux, Windows e OSX
• tipo di file di input: STL, gcode
Materiale di consumo
• Funziona con ABS e PLA
• diametro del filamento: 1,75 millimetri
Meccanica
• Cuscinetti a ricircolo di sfere sfere per tutti i rinvii delle cinghie
• Guide di scorrimento di precisione diametro 8 mm
• Manicotti di scorrimento a ricircolo di sfere
• Struttura in compensato di Betulla di qualità superiore 6mm tagliato a laser
• Particolari in Acrilico 5mm tagliati a laser
• Cinghie in poliuretano T2,5 H6
• Pulegge T2,5 Z10 ad alta precisione in alluminio
• Dimensioni d’ingombro: 380 x 370 x 450 millimetri o 12.6 x 18.4 x 15 pollici
Fornire ed assistere prodotti professionali da parte di un distributore software è un ingente costo. Per selezionarli con convizione è necessario provarli, studiarli, conoscere a fondo le loro prerogative ed i loro eventuali limiti. E questo è solo l’inizio.
Per suggerire una soluzione appropriata ad un potenziale cliente, è necessario conoscere in dettaglio le sue esigenze. I suoi metodi di produzione, i materiali che lavora, l’organizzazione dell’officina e le macchine che utilizza. Per chiarirgli i vantaggi di una particolare proposta rispetto ad un’altra, è necessario dimostrargli il funzionamento del programma dal vivo, con esempi specifici che riflettono le sue precise problematiche.
E per fare in modo che dopo l’acquisto possa effettivamente lavorare e raggiungere i risultati promessi durante la trattativa, è necessario assisterlo nell’installazione e messa a punto del programma, sviluppare uno o più postprocessor adatti alle sue macchine e verificarne sul campo il buon funzionamento. Ed infine, l’assistenza deve protrarsi dopo l’acquisto per risolvere gli eventuali problemi che dovessero presentarsi nell’utilizzo del software. Garantire tutti questi servizi con adeguata professionalità è un costo per il fornitore, certo.
Ma se non venissero forniti a corredo dell’acquisto, diverrebbero un onere che comunque l’acquirente deve affrontare. Si troverebbe lui a dover spendere tempo per provare i vari prodotti, sviscerandoli sino ad individuare gli eventuali punti critici.
In molti casi, le versioni dimostrative non consentono di utilizzare pienamente un programma (es., non producono codice NC), e quindi il rischio di acquistare un prodotto sbagliato aumenterebbe. La messa a punto del programma, del postprocessor e del DNC potrebbe presentare problemi tecnici non facilmente risolvibili per un non addetto ai lavori. Senza contare i possibili danni alle attrezzature che potrebbero derivare da test condotti in modo empirico. Questi sono i fondamentali motivi per cui i software CAM, e più in generale i software specialistici non si vendono (e non si acquistano) in un magazzino Self Service. Prima di mettere a repentaglio una macchina del valore di qualche centinaio di migliaia di euro, è conveniente rivolgersi ad un esperto, che si assume la responsabilità di far funzionare le macchine come occorre all’azienda, fornire strumenti adeguati alle esigenze e alle capacità degli operatori, ed erogare la formazione necessaria affinchè divengano autonomi nell’utilizzarli.
Il programma SafeCAM
Se il “Fai da te” è assimilabile ad acquistare ingredienti in un Discount, scaricare una ricetta da Internet e tentare di cucinare la cena, il programma SafeCAM corrisponde a cenare in un ristorante di lusso. Con un collaudato e ricco menu, presentato con cura e servito da impeccabili camerieri al lume di candela. Traducendo queste metafore nel concreto dell’acquisto di un software CAM, con il Fai da te si rende necessario documentarsi sui vari forum e fare esperienza a proprio rischio e pericolo. SafeCAM consente di introdurre nei processi aziendali un nuovo software assistiti in ogni passaggio da un esperto:
Prevendita:
Analisi delle esigenze del cliente ed individuazione della migliore soluzione;
Dimostrazioni ad hoc, su parti e modelli del cliente;
Consegna:
sviluppo del postprocessor personalizzato;
installazione e messa a punto del programma presso il cliente;
verifica del funzionamento del sistema con prove pratiche in macchina;
Formazione:
training sulle tecniche di modellazione adeguate alla preparazione ottimale della parte;
training sulle tecniche di utilizzo del programma in relazione alle specifiche esigenze del cliente;
training sulle tecniche di officina: parametri di lavorazione, staffaggio, attrezzaggio, utensili, lubrificazione, etc.
Post-vendita:
assistenza “a vita” sulle problematiche applicative correlate al programma
Questo è lo spirito del programma SafeCAM. Questo è ciò che otterranno i clienti delle nuove versioni personalizzate ShareMind di SprutCAM. Incluso nel prezzo. Come cenare in un ristorante di lusso con un prezzo da Fast Food.
Per gli utenti di Rhinoceros, SketchUP Pro, Alibre Design, AutoCAD e 3D Studio Max, mille ragioni e 1000€ di sconto ad Aprile 2012 per passare a T-FLEX, il modellatore di superfici e solidi basato su Parasolid. Ma prima di pensare ai vantaggi economici di una promozione, è bene chiarire i vantaggi competitivi che l’adozione di una nuova soluzione può comportare.
I benefici della modellazione parametrica sono abbastanza noti.
Spesso tuttavia si tende ad attribuire al temine “Parametrico” un’accezione univoca, come se si trattasse di una caratteristica semplicemente presente o assente in un programma. Molti sono convinti che un programma parametrico sia semplicemente in grado di apportare delle variazioni tipicamente dimensionali (es. il diametro o la profondità di un foro, o il raggio di un raccordo) ad un modello già fatto.
In realtà, gli attuali programmi realmente parametrici offrono ben altri vantaggi.
Definendo i propri intenti attraverso la descrizione di una serie di vincoli progettuali, il progettista può contare sul fatto che il modello (o l’assemblaggio) reagirà alla variazione di qualsiasi parametro, rigenerandosi automaticamente nel rispetto degli intenti originali.
Un esempio? In un motore a scoppio, variando il parametro “Cilindrata”, la rigenerazione ridefinirebbe l’alesaggio dei cilindri, la corsa dei pistoni, il diametro delle fasce, la lunghezza delle bielle etc., apportando variazioni dimensionali coerenti con l’intento del progetto a tutta la catena cinematica coinvolta.
Un altro esempio. Un motore a quattro cilindri completo di tutti i dettagli potrebbe venire rigenerato come un motore a sei cilindri semplicemente variando il parametro “Numero di cilindri”. Come è facile intuire, questa variazione è ancora più complessa, e non si limita a modifiche dimensionali. E’ necessario infatti non soltanto prolungare il monoblocco e la testata, ma anche aggiungere cilindri, pistoni, fasce, bielle, valvole, prigionieri etc. Queste variazioni implicano la capacità del programma non solo di alterare un modello, ma di risolvere complesse formule matematiche e trigonometriche, gestire variabili, database di componenti, parti standard etc. Un valido, attuale programma parametrico può affrontare comunque tranquillamente queste impegnative task.
Un motore parametrico modellato con T-FLEX
Dal concetto di Disegno/Modellazione al concetto di Progetto. Una volta affinata la definizione del termine parametrico, adeguandola alle attuali caratteristiche dei programmi MCAD, ci si rende conto che l’attenzione si sposta dal concetto di Disegno (o di Modello) al più ampio concetto di Progetto. Nei programmi non-parametrici, per intriseca definizione, non essendo possibile apportare sostanziali variazioni al modello finito, è necessario che l’obiettivo finale del lavoro sia già completamente formulato nella mente del progettista. Ovvero, il progetto dever essere totalmente definito; il programma ha solo lo scopo di rappresentarlo in un modello o assemblaggio tridimensionale. Al contrario, utilizzando un MCAD parametrico, si può contare su svariati strumenti che consentono di risolvere problematiche progettuali durante lo sviluppo dell’idea. Ad esempio, T-FLEX è dotato di un sofisticato ambiente di simulazione cinematica, che consente di valutare il comportamento di un meccanismo. Di una serie di studi FEM che permettono di stabilire come i componenti reagiranno alle sollecitazioni di varia natura del mondo reale. Di un Problem Solver universale, che è in grado, attraverso ricerche dicotimiche automatiche, di trovare la migliore soluzione ad un problema generico adeguando il modello alla soluzione individuata. Di specifiche funzioni che facilitano la progettazione di stampi. Di librerie di componenti standard che agevolano il processo di ingnerizzazione. Di una serie di strumenti (database, configurazioni, distinta base, quotature automatiche, GD&T, tabelle di saldatura, esplosi, possibilità di generare documenti testuali e tabellari parametrici) che consentono di documentare completamente un progetto. Numerose funzioni aggiuntive, quali il rendering fotorealistico e la possibilità di realizzare animazioni e sceneggiature consentono di sviluppare materiale professionale per la comunicazione visiva e multimediale.
T-FLEX: in un'unica interfaccia, tutti gli elementi di un progetto.
Questo poderoso corredo di funzionalità e di strumenti è totalmente integrato in una singola, facile interfaccia, e sfrutta sia il consolidato engine Parasolid, sia un potente solutore di vincoli proprietario Top-Systems. Il sistema è compatibile a livello nativo con SolidWorks, Autodesk Inventor, SolidEdge, Rhinoceros, e a livello file con i più diffusi modellatori solidi e di superfici tramite i formati Step, Iges, Parasolid, DXF, DWG etc.
Per ragioni funzionali, e ancor più per ragioni economiche, questa soluzione non è comparabile con l’impiego di un programma di modellazione non-parametrico successivamente dotato, attraverso moduli aggiuntivi e plug-in, di integrazioni
pseudo-parametriche, cinematiche, FEM, documentali etc.
T-FLEX, acronimo di Total Flexibility, è la soluzione ideale per affrontare con un unico applicativo in grado di gestire disegni 2D, modelli e assemblaggi 3D e superfici in classe A in modo totalmente parametrico problematiche complesse di progettazione ed ingegnerizzazione.
Ed oggi questa soluzione è particolarmente abbordabile per gli utenti di alcuni prodotti.
Nel corso del mese di Aprile 2012, gli utenti di Rhinoceros, SketchUP Pro, Alibre Design, AutoCAD (Full) e 3D Studio Max possono passare a T-FLEX a condizioni estremamente vantaggiose: 1990€ + IVA anziché 2990€ + IVA.
Per ricevere il modulo d’ordine è sufficiente contattare ShareMind.
Per usufruire dell’offerta, è necessario esibire una prova d’acquisto di uno tra i prodotti elencati. L’offerta è valida per ordini pervenuti e processati entro il 30 aprile 2012 salvo esaurimento scorte.
Ragazzi, ci siamo.Il nuovo modo 601 è arrivato. Ho appena finito di tradurre e pubblicare le circa sessanta pagine web del “modo 601 tour“, e mi formicolano le dita, ansiose di provare le diverse tonnellate di novità introdotte in questa versione. Una poderosa release, a detta dei progettisti di Luxology la più importante di sempre. Che, con l’aggiunta di una professionale animazione di personaggi, rendering volumetrico, svariati nuovi shader realistici e non, un’efficace re-topologia, un più completo supporto alle SUBD Pixar e parecchie migliorie all’ambiente di painting, chiude il cerchio, e promuove modo a tutti gli effetti come uno dei migliori programmi disponibili per la produzione.
Ci vorrà tempo per provare a fondo tutte le nuove funzionalità, ma già ora il responso dei beta-tester, nelle prove che hanno visto modo comparato fianco a fianco ad altri prodotti specifici, è molto positivo.
Per quanto mi riguarda, al momento mi azzardo soltanto a cimentarmi con il difficile tentativo di elencare le più importanti 10 caratteristiche della nuova versione.
1) CAD Loader – modo 601 offre ora due CAD Loader (venduti separatamente) che implementano il kernel Parasolid per l’import/export di file X_T, STP, ed IGS. Gli oggetti CAD sono importati come nuovo “CAD Item” e la poligonizzazione quad/n-gons viene calcolata dinamicamente, basata su impostazioni a livello item. Questo significa che modo può andare ad integrare le funzionalità di qualsiasi CAD in grado di salvare file STP. GRANDIOSO.
2) Nuovi Shaders. Un sacco di Shaders. Perfino troppi per nominarli tutti. Pelle, capelli, halftone, cel (Wow!), bordi arrotondati (!!!!). Questi shaders implicano un nuovo livello nelle potenzialità di visualizzazione sia realistica (capelli e bordi ad esempio) sia non realistica (cel e halftone).
3) Dinamica: il package di fisica Recoil (dinamica per corpi rigidi e morbidi basato sul Bullet Physics engine v2.79) è ora incluso come standard in modo 601. E’ più che un giocattolo. Volete sapere quante palline da ping pong entrano in un cestino: riempitelo, e lo saprete. Volete vedere come apparirebbe una catenina appesa ad un nuovo modello di display da vetrina? Basta appenderla, e lo vedrete.
4) Re-Topologia. Un aspetto importante della produzione just-in-time è la velocità di iterazione delle forme durante la progettazione. Si parte da un modello abbozzato, lo si rifinisce, ricostruisce, prova. Rifinisce, ricostruisce, riprova. Si arriva al prodotto finito solo dopo un certo numero di cicli. “Re-topologia” significa proprio questo: ricostruire. E modo 601 offre eccellenti nuovi strumenti per ricostruire. Non soltanto Re-topo è un ottimo strumento per ricostruire una mesh fatta male, è anche un validissimo ausilio per il reverse engineering di dati acquisiti con uno scanner. Basta importare una nuvola di punti acquisita con uno scanner 3D, e modo 601 la converte in una mesh SUBD pulita, CAD-Ready in brevissimo tempo. Solo questo strumento giustifica a mio avviso l’intero costo del programma. Basti pensare alle potenzialità di un abbinamento tra Artec 3D scanner, in grado di acquisire mesh 3D in tempo reale, e modo 601, in grado di rifinirle sino ad ottenere una qualità CAD.
5) Rigging. Guardando ai nuovi strumenti di rigging, non commettiamo l’errore di pensare che siano soltanto strumenti per l’animazione di personaggi. I nuovi strumenti di rigging (e ce ne sono TONNELLATE) rendono possibile costruire assemblaggi con relazioni complesse, completi di realistiche deformazioni di corpi morbidi. Volete effettuare un rendering di una nuova borsetta, e scoprire come si deformerà quando verrà aperta? Facile.
6) Ancora Rigging. Certo, il rigging è fenomenale per creare pose ed animazioni di assemblaggi complessi, ma combinato con il nuovo engine dinamico può consentire di creare assemblaggi “operativi”. Volete vedere come si comporterebbero dei birilli in una pista da bowling colpiti da una boccia con un baricentro sbilanciato? Provate, e vedrete se può fare strike.
7) Migliorie al supporto PSub.La gestione delle Pixar Subdivision Surfaces in modo 601 consente ora di stirare singoli vertici (RAWK) e controllare la densità della mesh di visualizzazione separatamente rispetto alla mesh di rendering.
8) Render Booleans e controllo bordi. Permettono di aggiungere, sottrarre o intersecare mesh, e raccordare visivamente i bordi a render-time. Un bel passo avanti: non c’è più bisogno di impazzire applicando raccordi da 0.5 mm nel CAD per scopi cosmetici: basta raccordarli a render-time e ci si salva dai problemi topologici (e si risparmiano un monte di poligoni!).
9) Render workflow.modo è sempre stato un bello strumento per il rendering. Ma la versione 601 è tutt’altra cosa. Certamente è più veloce e realistica, ma questo non basta. L’intero workflow del rendering è stato ridisegnato, completo con le miniature dei rendering precedenti, una vera soluzione multi-pass, e abbastanza meta-statistiche da farvi girare la testa.
10) Supporto per Space Navigator. Riposate le vostre dita stanche di “accordi” sulla tastiera. Finalmente, a planetaria richiesta, modo ha implementato il supporto per i mouse 3D nella versione 601. Con un grande salto di qualità nell’ergonomia.
Pubblico questo articolo, che trovo carino, direttamente in Inglese. Mi spiacerebbe tradurlo, perderebbe qualcosa.
I was writing new material shaders for Pixar Renderman in the days before any of us had even mentioned TOY STORY.
Unfortunately, in those early days computers were so slow that you would get up in the middle of the night just to see how the rendering was going. Even if the computer didn’t find a syntax error there were no printers or fancy file exchanges; we just took pictures of the screen, and I am not talking digital cameras.
While the technology was not quite there, I picked up my marker pens and practised the art of mixed media rendering. The understanding of light and shape was the same for both and this had its own advantages. The difference being that where as a programmer I would study it once and capture it in code, as an artist I had to repeat the process every time.
But while Buzz Lightyear was learning to fly, technology was moving fast and I was finally using the medium to design products.
CAD was already accepted in the engineering departments and when it came to converting to 2D engineering drawings the pen plotter was a formidable machine. The problem was that the process began with designer sketches and mock up models all done in traditional manual lay ups. This bought about a new stage in the CAD revolution, reverse engineering. In order to benefit from the faster more accurate downstream processes the information had to be input into the computers. This is where the cynics of technology won points. The conversion added time to projects and there was often a loss of design intent during translation.
But I wasn’t from art college. I had no honour to defend and I had been practising using digital technology artistically for some time. I offered a process without reverse engineering. The process begins with what I termed “3D Sketching”; creating and exploring form in digital 3D. Not only does it do away with reverse engineering but also offers real advantages in the early stages of conceptual studies. As well as holding on to the real life constraints of size and scale we can explore shape, colour and texture extremely rapidly. The client portfolio grew fast.
Strangely, there are still many design companies (and I mean many) that although use CAD as a design tool still begin the process with 2D sketches. It is not for everyone to be able to envision and work in 3D but considering what the final result is meant to be, you would think it would be a pre-requisite.
Even now, that I have proven the success of my design philosophy I am still challenged for debate. The prejudice reminds me of how air-brushing was once deemed not worthy of being called art, and in some quarters still isn’t. Creativity should not be measured by the medium we choose but how successful we can be with it.
About the author – Austen Miller is Senior Partner of 3form Design
Il primo progetto gratuito del 2012 è un romantico “Coeur d’Amour”, creato da Michael Tyler per Vectric Aspire 3.5 e VCarve Pro 6.5.
Il progetto è un regalo ideale per il giorno di San Valentino, o un’occasione per un regalo sentimentale durante tutto il corso dell’anno.
Coer d'Amour box
Questo progetto viene fornito completo di dettagliate istruzioni, file necessarie e un template a forma di cuore stampabile, utile per ritagliare il fondo di feltro necessario per foderare la scatola. Il progetto è compatibile con Aspire 3.5 e con VCarve Pro 6.5, e misura una volta completato approssimativamente 15,6 x 18 x 7,5 cm.
La meccanica non si limita ad asservire la progettazione di macchine industriali e veicoli da trasporto, anche se questi sono i campi in cui la ritroviamo più frequentemente. E’ presente in molti oggetti domestici, nei giocattoli, e persino nell’arte. Questo è precisamente il caso di Theo Jansen, visionario fisico Olandese laureato alla Technische Hogeschool Delft, e meglio conosciuto come scultore cinetico.
La sua prima esperienza di arte cinetica risale al 1980, quando un disco volante di colore nero, realizzato su un’ossatura di tubi in PVC, seminò il panico volando nel cielo di Delft, sostenendosi in aria grazie all’elio con cui era riempito, accompagnando il suo volo con l’emissione di un segnale acustico e l’accensione di luci lampeggianti.
La mancanza di termini di paragoni visivi, nel cielo velato dalla foschia, fece apparire le dimensioni apparenti dell’oggetto ben superiori a quelle reali, che erano di appena 4 metri: in un rapporto della polizia, ad esempio, quell’UFO fu descritto come un artefatto di circa 30 metri. L’oggetto volante sparì infine tra le nuvole facendo perdere ogni traccia di sé: atterrato forse in Belgio, non fu mai ritrovato. Un’esperienza simile fu ripetuta l’anno successivo nei cieli di Parigi.
Negli anni dal 1984 al 1986, Jansen concepisce The painting machine, sviluppo di un dispositivo di pittura automatica su muro, per mezzo di una pistola a spruzzo asservita alla rilevazione della luce e del buio da parte di un sensore ottico: l’erogazione della pittura spray avviene solo quando la macchina rileva una condizione di assenza di luce.
Il sensore ottico è costituito da una fotocellula, applicata appositamente sul fondo di un tubo in modo da rendere sensibile il dispositivo alla sola luce con incidenza parallela al tubo. Il risultato di questo procedimento artistico assomiglia a una sorta di fotografia stampata su muro, ma con una peculiare resa pittorica: poiché il sensore si avvicina ai soggetti da ritrarre, la riproduzione avviene in dimensioni reali, cancellando ogni senso della prospettiva.
Ma le opere per cui è Jansen è maggiormente conosciuto sono le Strandbeesten, gli animali della spiaggia, una sorta di scheletri animati, la cui energia propulsiva è attinta dal vento, e ai quali ha iniziato a dedicarsi già negli anni ottanta.
La prima delle sue Strandbeest è stata Animaris vulgaris, un binomio di fantasia che deriva dalla fusione di due termini latini, animal e maris, e che può essere reso in italiano come Animare comune. Questa prima composizione, in tubi in PVC e nastro adesivo, non era ancora in grado di muoversi: le bestie da spiaggia, infatti, erano inizialmente destinate a essere semplicemente esposte sulla sabbia e sulle dune costiere. Solo in un secondo momento, Jansen si è cimentato nella sfida tecnica consistente nell’imprimere loro forme di movimento autonomo. Per far questo, le strandbeesten sono dotate di «ali», sorta di pale a vento poste sul dorso della scultura, la cui attivazione è in grado di sostenere il meccanismo di deambulazione laterale delle creature, in un movimento durante il quale esse tengono sempre il loro ‘naso’ in direzione del vento.
Nelle fasi successive del progetto, interessatosi al processo di evoluzione, Jansen ha cercato di selezionare i modelli al computer, riproducendo sulle sue creature gli stessi meccanismi con cui la selezione naturale agisce sull’evoluzione delle specie viventi.
Si sono così succedute nel tempo altre generazioni di animali da spiaggia, in grado di muoversi sulla sabbia sotto la spinta del vento, grazie a un ingegnoso movimento sviluppato dalle gambe. Col tempo, Jansen ha implementato la capacità di immagazzinare autonomamente energia, sotto forma di aria compressa, un passo verso la conquista dell’autonomia, grazie alla possibilità di muoversi anche in assenza di vento.
Le sue opere, realizzate con tubi di PVC destinati all’elettrotecnica e nastro adesivo, fascette serrafili ed elastici, bottiglie di riuso in polietilene, bastoni di legno e anche pallet, sono ora in grado di correre autonomamente sulla spiaggia, grazie a un movimento di rotazione in cui ciascun ‘piede’ descrive approssimativamente un triangolo dai vertici smussati, ottenuto sollecitando il movimento di una ‘gamba’ meccanica schematizzabile con un grafo planare costituito da 11 segmenti tubolari articolati secondo rapporti appositamente scelti delle lunghezze in gioco.
La scelta iniziale di quale fosse la combinazione geometrica capace di produrre al meglio il desiderato movimento (approssimativamente triangolare) del piede, passava attraverso l’esame delle varie configurazioni dei rapporti tra gli 11 segmenti, da effettuarsi all’interno di uno sterminato universo di possibilità: per questo motivo, la scelta è stata portata a termine non attraverso un algoritmo esaustivo, che avrebbe richiesto decine di migliaia di anni di tempo-macchina, ma con un approccio euristico, che si è servito della simulazione al computer di un processo evolutivo, partendo da una popolazione iniziale ristretta a sole 1.500 combinazioni, casualmente generate dall’algoritmo stesso. A ogni passo, l’algoritmo sceglieva le 100 migliori configurazioni, che venivano poi ricombinate a generare una nuova popolazione di altre 1.500 gambe, e così via… L’elaborazione, originariamente su un computer Atari, 24 ore su 24, si è protratta per mesi, durante i quali l’algoritmo evolutivo ha selezionato le gambe di quello che sarebbe stato battezzato Animaris Currens Vulgaris, ovvero la sua prima generazione di sculture semoventi.
Una nuova simulazione evolutiva ha selezionato le gambe delle generazioni successive, dando luogo a quelli che l’autore chiama gli 11 «numeri sacri», i cui rapporti assicurano il movimento desiderato: a = 38, b = 41.5, c = 39.3, d = 40.1, e = 55.8, f = 39.4, g = 36.7, h = 65.7, i = 49, j = 50, k = 61.9, l = 7.8, m = 15.
La simulazione evolutiva al computer, ha permesso a Jansen di determinare le configurazioni per un efficace movimento deambulatorio. In seguito, tutte le realizzazioni sono state progettate in maniera autonoma, mediante una serie di tentativi ed errori.
Il movimento in assenza di vento
Quelle stesse ali possono poi azionare diverse piccole pompe per bicicletta che insufflano aria sotto pressione all’interno di un serbatoio («lo stomaco» delle bestie, nelle parole del suo ideatore) costituito da una batteria di semplici bottiglie di PET; l’energia eolica così immagazzinata, durante un processo di ricarica che richiede poche ore di esposizione agli elementi atmosferici, può essere successivamente utilizzata per muoversi autonomamente anche in assenza di vento. Nella versione Animaris Gubernare Adulescens, le batterie di bottiglie sono raccolte in “stomaci” esterni alla Strandbest’, alla quale sono connessi attraverso un meccanismo che permette loro di spostarsi con la struttura rotolando e scaricando il peso sulla sabbia, senza aumentarne la massa. Le stomaco di batterie rotolanti risulta inoltre utile come ancoraggio.
L’aria compressa agisce su quelli che il progettista definisce «i muscoli», o ancor meglio le «ossa estensibili» dell’animale: si tratta di elementari pistoni pneumatici costituiti da due tubi coassiali in PVC di diverso diametro, la cui tenuta pneumatica è garantita da un o-ring che sormonta il tubo interno. Il flusso dell’aria immagazzinata nelle bottiglie, passando attraverso un tubicino, allunga i pistoni e permette il movimento. I «muscoli possono aprire i tappi delle bottiglie per attivare altri muscoli che aprono altri tappi e così via. Questo dà vita a centri di controllo che possono essere paragonati a cervelli.
Particolare è il meccanismo di locomozione terrestre delle creature di Jansen: gli animali non utilizzano ruote, che sulla spiaggia non garantirebbero un buon grip, ma si affidano a un vero e più efficiente meccanismo di deambulazione, che produce un’andatura laterale caracollante. L’utilizzo di una simulazione evolutiva al computer ha avuto come risultato il disegno di speciali ‘piedi’ grazie ai quali le sue creature possono muoversi sulla sabbia senza problemi.
Cruciale è la capacità delle creature di percepire e reagire ad alcune circostanze avverse e potenzialmente esiziali per la loro sopravvivenza, come il rischio di inoltrarsi in mare aperto, finendo sommerse o travolte dall’acqua, o il rischio di cadere in balia di un forte vento.
Attraverso sensori unicamente meccanici e pneumatici, Jansen ha implementato la capacità di avvertire la presenza di acqua ai propri piedi, o della sabbia asciutta delle dune: le creature reagiscono a questi stimoli con un arresto del movimento e un avvio in direzione contraria. Altri sensori, inoltre, hanno la capacità di percepire la presenza di vento forte, una circostanza alla quale rispondere ancorandosi al terreno, grazie a un perno incardinato nella sabbia, sotto le percosse di un martello azionato da un pistone pneumatico.
Memoria
Le creature, inoltre, sono ora dotate di un contapassi, un piccolo cervello pneumatico che memorizza il numero dei passi in una configurazione binaria, ed è in grado di fornire alla scultura «una sorta di immaginazione del semplice mondo degli animali da spiaggia» i cui confini si estendono nella sabbia umida tra i due estremi imposti dalle dune costiere e dal bagnasciuga.
Jansen si propone, in futuro, di collocare, in libertà, mandrie di queste sculture sulle spiagge olandesi: abbandonate a se stesse, in grado di muoversi da sole, esse potrebbero così condurre una forma di esistenza autonoma come in colonie animali, muovendosi grazie al vento del quale, letteralmente, si nutrono. Per far questo, risulta decisiva l’acquisizione di capacità di omeostasi, alcune delle quali già implementate, come l’accumulo di aria compressa in bottiglie di plastica, in modo da garantire energia per il movimento anche in assenza di vento, o la capacità di percepire condizioni avverse, come il forte vento e la presenza del mare, a cui reagire con strategie di sopravvivenza, le capacità di memorizzazione.
Nel 2003, Jansen ha realizzato Animaris Rhinoceros Transport, dal peso di ben due tonnellate, in grado di ospitare diverse persone sedute al suo interno[6]. Al pari delle altre Strandbeesten, Animaris Rhinoceros Transport è anch’esso sospinto dal vento ma, a dispetto del non trascurabile peso, esso può essere agevolmente spinto da una persona sola. Del Rhinoceros di Jansen è disponibile un grazioso modello in scala ridotta in scatola di montaggio, prodotto dalla Gakken e commercializzato a circa 35,00€.
Determinante nel lavoro ciclopico di Jansen è stato l’apporto del computer, e la possibilità di analizzare complessi comportamenti cinematici attraverso sofisticate simulazioni. T-FLEX, dotato di un avanzato sistema di analisi dinamiche, è lo strumento ideale per concepire e prevedere il comportamento di meccanismi complessi. Il problem solver integrato, che fornisce attraverso algoritmi dicotomici la migliore soluzione ad un problema di natura cinetica, lo eleva dal comune rango di un programma di disegno e modellazione meccanica ad un completo strumento di progettazione, in grado di condurre il progettista verso il concreto sviluppo della macchina.
In un mondo con una crescente preoccupazione per la produzione di energia e la riduzione delle materie prime, il progetto di Markus Kayser esplora il potenziale produttivo del deserto, nel quale energia e materiali occorrono in abbondanza. In questo esperimento vengono usati il sole e la sabbia, come energia grezza e materia prima per produrre oggetti in vetro, usando un processo di stampa 3D che combina energia e materiali naturali con l’alta tecnologia.
La sinterizzazione solare affronta il problema della produzione futura, e materializza il sogno della completa utilizzazione della più efficiente sorgente di energia – il sole.
Anche se non fornisce risposte definitive, questo esperimento segna un punto di partenza per un pensiero nuovo.
Markus Kayser Solar Sinter
2011
Nell’agosto 2010 ho progettato la mia prima macchina solare – il Sun Cutter – che ho trasportato nel deserto Egiziano in una valigia.
Si trattava di un sistema di taglio Laser rudimentale semiautomatico, alimentato dalla luce solare. La mia macchina sfruttava la potenza del sole per pilotare i raggi attraverso una lente in vetro per tagliare via “laser” dei componenti 2D usando un sistema controllato da un software CAM. Con il Sun Cutter sono riuscito a tagliare sagome da fogli di compensato, con una discreta qualità estetica. Il risultato è stato un curioso ibrido di “fatto a macchina” e “artigianale”, a causa della approssimazione del meccanismo e dell’ottica, oltre che delle variazioni dell’intensità solare dovute al cambiamento delle condizioni atmosferiche.
Nei deserti del mondo dominano due elementi – il sole e la sabbia. Il primo offre una inesauribile quantità di energia ad alto potenziale, il secondo un quantitativo enorme di silicio in forma di quarzo. L’esperienza di lavoro in un deserto con il Sun Cutter mi ha stimolato la gestazione di un nuovo progetto di una macchina che potesse sfruttare questi due elementi. La sabbia silicea, quando riscaldata sino al punto di fusione e successivamente raffreddata, produce vetro. Il processo di convertire una sostanza in polvere in un solido attraverso il riscaldamento è conosciuto come sinterizzazione, e negli ultimi anni è stato al centro della prototipazione nel design basata sulla tecnologia di stampa 3D o SLS(Selective Laser Sintering). Le stampanti 3D usano infatti una tecnologia laser per creare oggetti tridimensionali molto precisida una varietà di polveri plastiche, resine e metalli. Gli oggetti così prodotti rappresentano esattamente la controparte dei progetti di design 3D sviluppati con un computer dai designer. Usando i raggi del sole anzichè un laser, e la sabbia anzichè le resine, ho iniziato a costruire le basi di una macchina ad alimentazione solare completamente nuova, e di un processo di produzione di oggetti in vetro che può sfruttare l’abbondanza di sole e sabbia nei deserti di tutto il mondo.
La mia prima macchina sinterizzatrice manuale è stata provata nel Febbraio 2011 nel deserto del Marocco, con incoraggianti risultati, che mi hanno permesso di sviluppare l’attuale sistema, completamente automatico e pilotato da un computer – il Solar Sinter. Questa macchina è stata completata a metà Maggio 2011, e a fine mese ho potuto iniziare a sperimentarla nel deserto del Sahara, vicino a Siwa, in Egitto, per un periodo di due settimane. La macchina ed il risultato di questi primi esperimenti segna un passo in avanti, e concentra l’attenzione sulle potenzialità di nuovi strumenti di produzione ad alimentazione solare dal grande potenziale.
DeskProto, il più classico tra i programmi CAM per la prototipazione rapida SRP, si rinnova con la versione 6. Basato su un’interfaccia estremamente intuitiva, utilizza dei semplici wizard che guidano l’utente in tutte le fasi del progetto: importazione del modello, posizionamento, collocazione dei testimoni, sgrossatura, finitura, contornatura, invio in macchina.
La realizzazione di un prototipo non è più difficile che eseguire una normale stampa. La tecnologia ZBuffer sulla quale il programma è basato esclude inoltre qualsiasi possibilità di tallonamento. Ma la novità più importante della versione 6 è l’introduzione del supporto del quinto asse, che consente di eseguire anche particolari sottosquadra. Proposto al costo di 995€ + IVA, Deskproto è il più economico CAM a cinque assi in assoluto sul mercato.
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