Nella terapia delle grandi ustioni, in particolare della faccia e del collo, vengono utilizzate maschere ed altri indumenti che hanno lo scopo di mantenere protetto, piatto e liscio il tessuto durante il processo di cicatrizzazione effettuano una compressione locale controllata.
A seconda dell’area interessata, questi indumenti possono essere maschere, body, pantaloni e guanti.
In alcuni casi vengono tutt’ora usati indumenti di compressione in tessuto, ma questi risultano meno efficaci, in quanto la pressione esercitata sulle aree da trattare è inadeguata, e risultano esteticamente più evidenti rispetto alle maschere siliconiche trasparenti, con negativi effetti psicologici.
Apparse intorno al 1975, le maschere trasparenti (TFO – Trasparent Facial Orthosis) si sono rapidamente diffuse: sono meno visibili delle maschere in tessuto, ed attraverso la trasparenza del materiale il terapista può controllare come la maschera comprime le cicatrici.
La maschera viene indossata dopo un’ustione profonda, con eventuale trapianto di pelle. Aiuta considerevolmente la guarigione, riducendo significativamente il numero e l’importanza delle cicatrici. La maschera viene indossata 18-20 ore al giorno per 18-24 mesi, o fino a quando l’innesto non è maturo e guarito.
Questo è un nuovo trapianto, subito dopo l’innesto.
Nell’immagine, l’innesto appare maturo, circa due anni dopo l’infortunio. La pelle è in via di guarigione completa, ed appare morbida, piatta e di colore chiaro.
Alcuni centri per grandi ustioni utilizzano ancora maschere in tessuto, realizzate con lo stesso tessuto elastico impiegato per altri indumenti di compressione.
L’efficacia terapeutica delle maschere trasparenti ha tuttavia un prezzo da pagare: per realizzarle, è necessario effettuare un calco del volto del paziente.
La realizzazione del calco non è particolarmente dolorosa in se, ma comprensibilmente intervenire sulla cute lesa può generare un vero e proprio terrore, specie nei bambini che frequentemente debbono venire addormentati.
Il primo passo per la realizzazione è cospargere con un sottile strato di vaselina il volto e le orecchie del paziente. Successivamente il volto viene coperto con una sostanza gommosa chiamata Jeltrate, dalla consistenza simile ad una densa zuppa d’avena, utilizzata con diverse preparazioni anche per i calchi dentali.
Per consentire al paziente di respirare, vengono inseriti sottili tubetti nel naso. Una volta che il Jeltrate si solidifca, il calco viene rinforzato con strisce di gesso, che indurisce in ulteriori dieci minuti. La maschera viene quindi rimossa: il suo interno l’impronta del volto. Successivamente, la maschera viene riempita con gesso liquido, che quando si solidifica rappresenta una copia fedele del volto del paziente.
Questa copia positiva viene pulita e levigata. La maschera vera e propria viene ottenuta scaldando un foglio di plastica biocompatibile trasparente, che viene premuto e tirato sulla testa di gesso, o adattato a quest’ultima con un processo di termoformatura sottovuoto.
Una volta raffreddata la maschera, vengono praticati i fori per la bocca ed il naso, e per gli elastici di fissaggio. Nel corso della terapia, il medico controlla i livelli di pressione nelle varie zone ed interviene periodicamente per modificare la maschera. Con la maturazione del tessuto dell’impianto, la necessità di revisioni diviene meno frequente.
Il disagio della maschera è relativo, se ci si abitua ad essa. Tuttavia, se viene indossata soltanto per le occasionali visite di revisione è dolorosa.
Quali benefici comporta l’uso della scansione 3D
Come si è potuto capire, il procedimento tradizionale della realizzazione della maschera è piuttosto complesso, ed impone un notevole fastidio per il paziente e la necessità di svariati interventi “artigianali” .
La tecnologia di scansione 3D e successiva prototipazione elimina sia gli uni sia gli altri.
Anziché effettuare uno sgradevole calco, il volto del paziente viene acquisito con uno scanner tridimensionale. Il procedimento non implica alcun contatto con la pelle e dura al massimo 1-2 minuti.
Il modello ottenuto viene “invertito” via software (da negativo a positivo), ed inviato ad una macchina a controllo numerico che asporta da un blocco di resina tutto il materiale in eccesso, producendo direttamente il solido della testa. Su quest’ultimo, che è perfettamente fedele e “pronto all’uso”, viene realizzata la maschera vera e propria con una termoformatura sottovuoto. Nessuna finitura è necessaria: anche i fori di respirazione e di fissaggio degli elastici sono realizzati dalla macchina.
Le speciali funzionalità del software consentono di comparare scansioni effettuate in tempi diversi e monitorare accuratamente lo spessore della pelle nelle varie zone durante il processo di ricostruzione. Così, anche gli interventi per variare la pressione della maschera nelle diverse aree risultano più precisi e mirati.