(Come leggere le caratteristiche tecniche, e cosa cercare nelle stampanti 3D)
Nel blog ci sono già molti articoli di orientamento per la scelta di una stampante 3D, e quasi 200 recensioni di modelli esistenti. Ma nonostante questo, o forse proprio per questo, la scelta può risultare comunque problematica, per chi si accinge a confrontare le caratteristiche tecniche di una serie di stampanti individuate come “papabili”.
Uno dei motivi per cui questa scelta è difficile è sicuramente la varietà dell’offerta, ma rispetto a questo si può fare poco, e comunque ben venga poter scegliere tra molti prodotti anziché tra pochi. La maggior parte dei potenziali acquirenti di una stampante 3D cerca di interpretare e comparare tra loro le famigerate “caratteristiche tecniche” per individuare il prodotto migliore all’interno del suo budget, ma questo apparente buon senso non sempre conduce alla scelta giusta.
Le caratteristiche tecniche sono sempre comparabili?
Un aspetto che rende “insidioso” l’orientamento basandosi sulle “specifiche” è la divulgazione da parte dei costruttori di caratteristiche tecniche utilizzando parametri differenti, non comparabili tra loro, e spesso poco realmente indicativi di caratteristiche o funzionalità apprezzabili. Vediamo quali sono le indicazioni che più facilmente possono trarre in inganno un potenziale compratore, inducendolo ad acquistare un prodotto che sulla carta appare migliore di un altro, ma nella pratica magari non lo è.
Risoluzione
E’ un parametro che apparentemente fa diretto riferimento alla “precisione” della macchina. Ma è decisamente ingannevole. Per risoluzione si intende infatti il movimento minimo che una macchina, in relazione all’elettronica e alla cinematica che utilizza, è in grado di compiere su un determinato asse. Secondo questa descrizione, una macchina che dichiara una risoluzione ad esempio di 0,02 mm potrebbe essere considerata “precisa”. Non è detto che lo sia. Questo parametro infatti non tiene conto dei giochi meccanici. Il parametro corretto per valutare quella che definiamo “precisione” è in realtà la ripetibilità, ovvero l’errore massimo che la macchina compie, dopo aver effettuato dei movimenti, nel tornare accuratamente su un particolare punto. Quando questo parametro viene fornito, ci si accorge facilmente che se la risoluzione arriva talvolta a pochi micron, la ripetibilità raramente scende al disotto di 0,01 mm. Ma il fatto è che questo parametro non viene fornito quasi mai. La nostra macchina considerata all’inizio di questo paragrafo, che con una risoluzione di 0,01 mm potevamo considerare precisa, potrebbe avere una ripetibilità di 0,3 o 0,4 mm., trenta o quaranta volte meno della risoluzione.
Spessore minimo layer
Si è ormai diffusa la tendenza di specificare valori molto bassi per lo spessore minimo degli strati stampati. Sicuramente, riducendo questo spessore l’effetto “gradino” in particolare sulle superfici curve o inclinate si riduce. Ma questo basta a supporre che una certa stampante produca una qualità migliore rispetto ad un’altra, perché dichiara uno spessore minimo più basso? La risposta è NO. Sostanzialmente tutte le stampanti possono produrre layer molto bassi (sino a 0,o25-0,05 mm. Ma nella maggior parte dei casi le tolleranze meccaniche, le vibrazioni, l’approssimazione introdotta dalla cinematica utilizzata suggeriscono valori più conservativi, intorno a 0,10 mm. Come scegliere rispetto a questo parametro? Semplice. Confrontando direttamente la qualità di finitura prodotta per un determinato spessore layer. Non è affatto raro che una stampante che dichiara uno spessore minimo di 0,10 stampi in realtà meglio di una che dichiara uno spessore minimo di 0,025 mm.
Un interessante articolo al riguardo, scritto da un appassionato che ha effettuato svariati test, è apparso su Reprap development and further adventures in DIY 3D printing.
Diametro ugello
Una diffusa convinzione è che più piccolo è il diametro ugello, maggiore sarà la risoluzione dell’oggetto stampato. In termini puramente geometrici ciò è vero. Ma nella pratica, è necessario considerare due aspetti. Il primo è un kill point. I materiali termoplastici conservano una viscosità anche nello stato di transizione vetrosa (durante l’estrusione). Quindi molto semplicemente non è possibile scendere sotto un certo diametro senza rischiare frequenti intasamenti dell’ugello, con un proliferarsi di stampe fallite e svariate problematiche di manutenzione. Per i filamenti attuali, scendere sotto il valore di 0,4 mm comporta spesso già un rischio, anche se vengono forniti ugelli con diametro sino a 0,25 mm. Il secondo aspetto è che i tempi di stampa (ove il problema viscosità sia superabile) aumentano considerevolmente.
Velocità di stampa
Questo è forse il parametro più ingannevole di tutti. Per un sacco di motivi. Il primo è che ciascun filamento dovrebbe essere estruso alla sua velocità ottimale per produrre stampe di qualità. E questa velocità ottimale oscilla tra 20 mm/sec. o anche meno per la maggior parte degli elastomeri e max. 80 mm/sec. per alcuni PLA. Nel mezzo ci sono tutti gli altri filamenti. Quindi che senso ha parlare di velocità di 300-400 mm/sec.?
Un altro motivo è che i percorsi dei movimenti di stampa sono generalmente molto brevi, in particolare nei riempimenti, e caratterizzati da frequenti o frequentissime inversioni di direzione. Ovvero, le velocità “dichiarate” non verranno mai effettivamente raggiunte, per i limiti all’accelerazione. E’ come dire che si, una Ferrari può raggiungere i 300 km./h, ma non certo nel traffico di una città congestionata. Velocità eccessivamente elevate comportano in ogni caso un considerevole aumento delle vibrazioni, una prematura usura degli organi cinematici, e un sostanziale degrado della qualità di finitura: in poche parole non servono.
Temperatura massima dell’estrusore e del piano di stampa
In una delle fiere frequentate, avevo a fianco del mio stand un produttore “semiartigianale”, che dichiarava ad un pubblico attonito dal suo convincente eloquio di venditore di padelle, che gli estrusori usati nelle sue macchine potevano raggiungere i 560 gradi. Notare che le macchine erano senza piano riscaldato. Progettate di conseguenza per il PLA, con estrusori con inserti in PFTE. Come sappiamo, questo materiale degrada rapidamente oltre i 230-240 gradi. Su cosa contava il costruttore di cui sopra? Semplice. Sul fatto che non essendo in quel periodo disponibili filamenti con temperature di esercizio superiori ai 240-250 gradi, nessuno avrebbe realmente messo alla prova i suoi estrusori. Oltretutto, essendo le macchine progettate per stampare soltanto il PLA, probabilmente gli utilizzatori si sarebbero fermati attorno ai 195-215 gradi. Più o meno lo stesso discorso vale per il piano di stampa. Raramente si può avere la necessità di spingerlo oltre i 120 gradi.
Raffreddamento a liquido
Popolare per un certo periodo nei computer “Gaming”, questo metodo di raffreddamento è particolarmente “scenico”. Ma introduce una serie di problemi tecnici e potenziali rischi di perdita dell’impianto che comporterebbero gravi conseguenze. E soprattutto introduce in generale un costo in realtà immotivato, poiché un buon raffreddamento ad aria del cool end non ha nulla da invidiare. Spesso il raffreddamento a liquido viene utilizzato come un componente il cui unico scopo è quello di giustificare un elevato prezzo di acquisto della macchina.
Bene. Considerato che molte tra le caratteristiche dichiarate in realtà non sempre rappresentano degli indicatori di una maggiore qualità di stampa o di un plus tecnologico, allora su cosa dovremmo porre l’attenzione?
Provo a fare un piccolo elenco.
Telaio
E’ un componente chiave. La struttura e la costruzione del telaio sono essenziali per garantire una sufficiente rigidità. Un telaio ben costruito conserverà la sua geometria nel tempo. Da preferire i telai monoblocco (elettrosaldati e bonificati), in acciaio o in alluminio. Non rischieremo che a causa delle vibrazioni e delle varie sollecitazioni la macchina perda la sua accuratezza.
Architettura
HBot, Core XY, Delta, Bowden? L’argomento è complesso e ciascuna di queste scelte progettuali comporta implicazioni positive o negative a seconda dei punti di vista. Se ad esempio le stampanti Delta sono generalmente in grado di raggiungere velocità maggiori di spostamento, la loro calibrazione è (sempre generalmente) più complessa, e richiedono elettroniche più potenti per via della continua interpolazione che debbono compiere. Se la scelta dell’alimentazione Bowden riduce le masse in movimento e quindi inerzie e vibrazioni, è anche vero che spesso rappresenta un problema estrudere elastomeri, etc. Farsi una cultura sulle varie architetture può richiedere un notevole impegno. Comunque, per chi fosse votato a compiere questo sforzo, in altri articoli nel blog la questione è affrontata con un maggiore livello di approfondimento.
Meccanica
E’ evidente che gioca un ruolo di primaria importanza. Esattamente come in un’automobile. Attenzione alle viti: tra una normale vite “ACME” a profilo triangolare e una vite trapezoidale c’è un abisso. E tra una vite trapezoidale e una a ricircolo di sfere un altro abisso, ancora più profondo. Lo stesso vale per le guide, delle quali vanno considerate le dimensioni oltre che la tipologia (quelle prismatiche sarebbero da preferire). Tutto nella meccanica influisce sulla qualità finale di stampa. La scelta dei componenti, la precisione dell’assemblaggio, gli accoppiamenti.
Estrusore
E’ un componente da valutare con grande attenzione. Non tanto la temperatura massima raggiungibile (250-300° sono generalmente sufficienti) quanto la sua costruzione complessiva. L’argomento “estrusore”, che è un po’ il cuore delle stampanti a filamento, è trattato in dettaglio in un articolo separato. Da considerare la possibilità di disporre di estrusori intercambiabili. L’utilizzo di diversi tipi di filamento può comportare maggiori rischi di intasamento dell’ugello, per via dei composti “ibridi” che possono formarsi cambiando materiale. Potendo utilizzare uno specifico estrusore a sostituzione rapida, questi problemi possono essere evitati.
Sistema di aspirazione o filtraggio dei fumi
Generalmente i filamenti utilizzati non producono sostanze particolarmente tossiche durante il normale utilizzo delle macchine. Ma in alcuni ambienti (luoghi pubblici, fabbriche, scuole) i regolamenti possono essere più restrittivi. In questo caso, realizzare impianti di aspirazione e filtraggio può risultare molto complesso, costoso e antiestetico. Meglio puntare su macchine che già prevedono sistemi di purificazione. E più in generale, anche per chi non è sottoposto a regole restrittive, utilizzare sistemi che non producono odori fastidiosi presenta comunque dei vantaggi.
Ambiente di stampa chiuso
La stampa a deposizione di filamento prevede la fusione e l’estrusione di un materiale termoplastico, ed implica di conseguenza una complessa alchimia di fisica, meccanica e termodinamica che non possono prescindere dall’ambiente circostante. In particolare, i materiali deposti sono (più o meno, ma in ogni caso sempre) soggetti a ritiri, potenziali deformazioni, fessurazioni, crepe che possono in alcuni casi arrivare a compromettere gravemente la qualità definitiva o la funzionalità del modello ottenuto. Come conseguenza di tutto questo, più la stampante è isolata rispetto all’ambiente esterno, meno i rischi delle suddette problematiche si fanno sentire. Alcune stampanti sono completamente aperte. Altre chiuse su più lati. Alcune sono completamente chiuse.
La scelta è semplice: più chiusa è, meglio è. Una macchina “chiusa” ci permetterà, entro certi limiti, di aprire magari una finestra nel corso di una stampa che implica qualche decina di ore senza troppi guai. Ma attenzione: anche in questo caso, meglio puntare su macchine già isolate all’origine. Costruire in seguito delle chiusure, o addirittura degli involucri potrebbe essere una brutta sorpresa dal punto di vista dei costi e della complessità di realizzazione.
Camera “calda”
Implica il fatto che la stampante, oltre che completamente chiusa, integri un sistema di riscaldamento attivo della camera di stampa. Sottolineato il fatto che questa caratteristica risulta particolarmente utile specialmente nel caso di stampa di ABS, e meno importante per altri materiali (es. PLA), magari ci fosse. Il fatto è che la cosiddetta “camera calda” è coperta da numerosi brevetti, e quindi solo pochissimi modelli, che hanno utilizzato approcci escogitati in modo di non infrangere i suddetti brevetti sono in grado di offrirla. Ma insomma, se c’è ne vale davvero la pena.
Sistema di rilevazione di malfunzionamenti del filamento
In alcuni tra i modelli più recenti sono stati aggiunti dei sistemi in grado di rilevare l’esaurimento del filamento e mettere in questo caso in pausa la stampante. Nei modelli ancora più evoluti, la rilevazione non interessa soltanto l’esaurimento, ma anche altri tipi di malfunzionamento, es. la rottura, o l’impossibilità di alimentare l’estrusione ad esempio perché un accavallamento delle spire nella bobina impedisce di svolgerla. Senza dare eccessiva enfasi alla prima soluzione (controllo esaurimento), poiché nelle stampe ad esempio notturne la macchina potrebbe restare per un tempo eccessivo in pausa senza che l’operatore intervenga, se questa funzione è disponibile è comunque meglio. Più importante l’eventuale presenza di un sistema in grado di rilevare il secondo problema (accavallamento delle spire e impossibilità di trascinare il filo), poiché se l’estrusore resta acceso e continua a funzionare “senza materiale”, si ottiene l’effetto di mettere una pentola vuota sul fuoco. La pentola brucia, e pure l’eventuale elemento in Delrin o PFTE presente nell’estrusore.
Sistemi di ripresa del lavoro dopo interruzione di corrente
Se presente non nuoce. Ma bisogna vedere come è implementato. Un buon sistema di ripresa dovrebbe essere in grado di allontanare, anche in caso di mancanza di alimentazione, l’ugello dalla zona nella quale stava lavorando. Altrimenti serve a poco. Se l’ugello rimane sul posto, il calore residuo fonde facilmente la zona, e risulta poi poco utile il fatto che la macchina sia in grado di riprendere il lavoro ad alimentazione ripristinata.
Connettività
Più ce n’è, meglio è. E’ come una persona che sia in grado di parlare più lingue. Quindi ben venga USB, schede, pennette, wifi. Quest’ultimo, a condizione che funzioni correttamente e non risenta di eventuali altri segnali wifi presenti nell’area. Altrimenti è come una persona che parla più lingue, ma male.
Ergonomia
Beh, fa sempre piacere lavorare “comodi”. Da valutare attentamente la praticità di caricamento e sostituzione del filamento (in alcuni casi è davvero complicato), e la facilità (o meno) con la quale è possible effettuare comuni interventi di manutenzione (es. sostituzione dell’ugello, ispezione dell’hot end, lubrificazione etc.). Per il resto, senza un’eccessiva enfasi, sicuramente i display touch screen sono comodi, meglio ancora se a colori, gli eventuali pulsanti rapidi per accedere alle principali funzioni altrettanto comodi, etc.
Attenzione all’eventuale Jog per la selezione dei comandi dal display LCD. Deve essere robusto, e funzionare senza incertezze. A proposito del display, è in grado di dire molte cose riguardo alla macchina. Un occhio “attento” può riconoscere l’adozione di un’elettronica “economica” e un firmware “preconfezionato” già da un primo sguardo ai testi visualizzati.
Qualità generale della progettazione
Molte macchine (per fortuna stanno comunque diminuendo) sono progettate, prodotte e assemblate artigianalmente. Altre rivelano già al primo sguardo un design e una costruzione industriale. La differenza non è soltanto estetica. Una progettazione industriale implica investimenti nella ricerca e la ricerca generalmente ha lo scopo di realizzare un prodotto migliore. Un conto è mettere assieme una manciata di elettronica, qualche motore, qualche guida e degli azionamenti, un conto progettare l’elettronica, la cinematica, la termodinamica dell’estrusore, il telaio (e magari il software) per sviluppare una soluzione che introduca vantaggi tecnologici, funzionali ed ergonomici.
Una tra le più costose FDM in commercio (sino a oltre 10000€), utilizza un’elettronica Arduino Mega 2560, reperibile all’ingrosso per poche decine di euro. Utilizza software Open Source e per la maggior parte componentistica standard. Ma il tutto è “arricchito” da un vistoso cabinet, raffreddamento a liquido e altri poco rilevanti elementi che dovrebbero convalidarne la vocazione “professionale”. Ecco, questo è un tipico esempio nel quale la progettazione è sostituita dal banale assemblaggio.
Qualità di stampa
E’ evidentemente un elemento chiave. Ma come si valuta? C’è un solo modo sicuro. Richiedendo ai nostri potenziali fornitori, possibilmente in diretta, di stampare lo stesso modello, possibilmente con lo stesso filamento.
La richiesta di eseguire questa prova “in diretta” ci permetterà di evitare di essere abbagliati da splendide stampe dimostrative (stampate chissà come e soprattutto da chissà quale macchina), e di valutare l’intero processo di stampa nel suo insieme. Ovvero la eventuale necessità di effettuare complesse calibrazioni, di adottare o meno alchemiche soluzioni per far aderire il nostro modello al piano di stampa, la facilità d’uso (o meno) del software, i tempi di realizzazione, le eventuali operazioni di manutenzione necessarie etc..
E’ durante la prova in diretta che la maggior parte delle “magagne” occulte (ove naturalmente vi siano) emergono.
Assistenza
All’atto dell’acquisto, questo è uno degli aspetti (sfortunatamente) meno considerati. Dopo, nell’utilizzo, diventa il più importante, ma spesso è tardi. Acquistare presso un’azienda che possa garantire una buona qualità di supporto tecnico e di assistenza è la migliore “assicurazione” si possa fare. Il fornitore (possibilmente Italiano anche nel caso di prodotti di produzione estera) dovrebbe disporre parti di ricambio e di tecnici qualificati, in grado di affrontare e risolvere sia problematiche applicative, sia eventuali malfunzionamenti della macchina.
Reputazione
E’ un termine ormai desueto, ma ancora vale qualcosa. E se è difficile farsi un’opinione sul modello della macchina che “avremmo” scelto (la maggior parte delle classifiche varie e delle recensioni pubblicate sulle riviste specializzate sono spesso pilotate da interessi economici), può essere abbastanza attendibile la “Reputazione” del venditore. Una ricerca su internet, magari anche all’interno dei vari forum, può dirci qualcosa in proposito, rispetto al fatto che siamo in buone mani o meno.