Prendo spunto per questo post da alcuni commenti recentemente pubblicati da frequentatori del sito riguardo all’approccio “Plug & Print” delle stampanti Zortrax M200.
Il tono dei commenti è pressoché opposto. Un utente saluta la politica di Zortrax di fornire un sistema “pretarato” di facile impiego, l’altro esprime preoccupazione rispetto alla scelta di proporre una soluzione custom, che vede come potenzialmente limitativa.
Non sta a me, almeno nel ruolo di “divulgatore tendenzialmente imparziale”, esprimere giudizi su chi abbia ragione o torto.
Devo però constare, sulla base di una nutrita esperienza, che – se lo scopo è ottenere la massima qualità – l’unica soluzione possibile è quella delle soluzioni proprietarie.
Utilizzando diversi slicer più o meno interconnessi, svariate tipologie e marche di filamenti, e tecniche più o meno empiriche per limitare il warping e la delaminazione, la quantità delle variabili in gioco è semplicemente enorme. Anche un profondo esperto deve effettuare molti tentativi prima di ottenere – da una determinata stampante – il meglio che possa produrre. Questo, indipendentemente dalla predisposizione e dal piacere della sperimentazione, male si coniuga con le esigenze professionali di continuità qualitativa e rispetto dei tempi di consegna.
Un sistema che utilizzi firmware, software e materiali dedicati può permettersi di garantire sia la qualità, sia l’affidabilità della macchina: tutte le sperimentazioni necessarie sono già state fatte, e limitando la flessibilità di impiego non si rischia il default.
Del resto, chiunque abbia utilizzato filamenti diversi (anche solo nel colore, talvolta) ha potuto constatare la necessità di modificare i parametri di stampa, misurare il filamento per una certa lunghezza per calcolare le variazioni di diametro, e in qualche caso sfortunato i problemi di inceppamento dell’hot end per la presenza di residui carboniosi o altri materiali spuri inclusi nel polimero.
In conclusione, sperimentando si possono ottenere notevoli soddisfazioni, ma si va anche incontro a rischi. Il mercato offre sia stampanti “flessibili”, in grado di operare con svariati software e di gestire molteplici materiali, sia (e devo dire per fortuna) sistemi “chiusi” che proprio riducendo il campo delle possibilità possono garantire una qualità costante. Nel caso specifico di Zortrax, che appartiene alla seconda categoria, la “chiusura” non è totale: i filamenti non sono “blindati” da chip, cartucce o diametri fuori standard, quindi teoricamente è possibile utilizzare altre marche. Ma visti i risultati che si ottengono con lo Z-ABS o con lo Z-ULTRAT, che oltretutto hanno costi assolutamente allineati a quelli di altri filamenti di buona qualità, non avrebbe veramente senso complicarsi la vita. Piuttosto, per chi non vuole rinunciare a “sentirsi libero” ci sono tante altre stampanti. Persino in kit, per i più coraggiosi.
Commenti 1
Io non sono assolutamente contrario all’open source, né alla possibilità di utlizzare soluzioni diverse, ma il ragionamento che faccio a proposito della stampa 3D coincide perfettamente con quello dell’admin.
Vorrei anche aggiungere un fattore: il costo finale delle varie “sperimentazioni”.
Il rapporto classico qualità/prezzo come ne viene fuori quando bisogna tenere in conto ore e ore di funzionamento aggiuntivo delle apparecchiature (che per adesso sono lente), materiali consumati inutilmente, e magari ottenere poi un risultato allineato (se non peggiore) che sarebbe stato offerto dalla soluzione preconfezionata con minor dispendio di risorse?
Direi che in questo periodo di crescita/assestamento della tecnologia 3D, avere qualche punto di riferimento certo può solo far bene alla tecnologia stessa.
Altrimenti si rischia anche che una parte consistente di possibili utenti se ne allontani, dopo esser rimasta delusa dai risultati ottenuti.